Sermoni Domenicali

DOMENICA V DI QUARESIMA

1. «Chi di voi mi convincerà di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete?» (Gv 8,46).
    Ai predicatori dice Geremia: «Fatevi animo, figli di Beniamino, in mezzo a Gerusalemme; e in Tekoa suonate la tromba, e in BetCherem alzate il vessillo» (Ger 6,1). Beniamino s'interpreta «figlio della destra» (Gn 35,18), Gerusalemme «visione di pace», Tekoa «tromba», e BetCherem «casa sterile».
    Fatevi animo dunque e non temete, o predicatori, figli di Beniamino, figli della destra, cioè della vita eterna, della quale è detto: «Lunghezza di giorni nella sua destra» (Pro 3,16). Fatevi animo, vi dico, in mezzo a Gerusalemme, cioè nella chiesa militante, nella quale c'è la visione di pace, vale a dire la riconciliazione del peccatore. E giustamente dice in mezzo. Il centro della chiesa è la carità, che si estende all'amico e al nemico; e a mantenersi in questo centro il predicatore deve esortare e aiutare i fedeli della chiesa. «E in Tekoa», cioè tra coloro che quando fanno qualcosa suonano la tromba davanti a sé (cf. Mt 6,2), come gli ipocriti, - «che si compiacciono di se stessi tra le folle delle nazioni», come è detto nel libro della Sapienza (cf. Sap 6,3) - «fate squillare la tromba» della predicazione, perché quando la udranno, dicano: «Guai a noi, che abbiamo peccato», o Signore (Lam 5,16). «E in BetCherem», cioè nella casa sterile, nella casa di coloro che sono privi dell'umore della grazia, sterili di buone opere - la cui terra, cioè l'anima, non riceve neppure una goccia del sangue che scorre dal corpo di Cristo (cf. Lc 22,44) - «alzate il vessillo» della croce: predicate la passione del Figlio di Dio, perché ora è il tempo della passione; annunziatela ai morti affinché risorgano nella morte di Gesù Cristo, il quale oggi, con le parole del vangelo, dice alle turbe dei giudei: «Chi di voi mi convincerà di peccato?».

2. Osserva che in questo vangelo ci sono da considerare sette episodi. Primo, l'innocenza di Cristo che dice: Chi di voi potrà convincermi di peccato? Secondo, il diligente (amoroso) ascolto della sua parola, quando dice: Chi è da Dio ascolta la mia parola. Terzo, la bestemmia dei giudei: Non diciamo bene noi che sei un samaritano e che hai un demonio? Quarto, la gloria della vita eterna per chi osserva la sua parola: In verità, in verità vi dico: se uno osserverà la mia parola, non gusterà morte in eterno. Quinto, la glorificazione fatta dal Padre: È il Padre mio che mi glorifica. Sesto, l'esultanza di Abramo: Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno. Settimo, la lapidazione tentata dai giudei e Gesù che si nasconde: Presero delle pietre per scagliarle contro di lui.
    Osserva anche che in questa domenica e nella seguente si legge Geremia e viene cantato il responsorio: Questi sono i giorni (cf. Lv 23,4), insieme con altri responsori, nei quali si omette il «Gloria al Padre».

3. L'Agnello innocente, che ha preso su di sé il peccato del mondo (cf. Gv 1,29), «che non commise peccato e nella cui bocca non si trovò inganno» (1Pt 2,22; cf. Is 53,9), «che portò il peccato di molti e pregò per i peccatori» (Is 53,12), ben a ragione può dire: «Chi di voi potrà accusarmi o convincermi di peccato?». Certamente nessuno. Come poteva qualcuno accusare di peccato colui che era venuto a rimettere i peccati e dare la vita eterna? Perciò oggi l'Apostolo, nella lettera agli Ebrei dice: «Cristo, venuto (assistens) come sommo pontefice dei beni futuri» (Eb 9,11), ecc. Assistens è lo stesso che «aiutante» oppure «obbediente». Cristo fu assistens, fu vicino a noi per aiutarci. Dice il Profeta: «Aiutò il povero nella sua miseria» (Sal 106,41).
    Il genere umano era povero perché spogliato dei doni gratuiti [datigli da Dio] e danneggiato nella sua natura: si trovava in questa condizione senza nessuno che gli prestasse aiuto. Venne Cristo, gli fu vicino, lo aiutò quando gli perdonò i peccati. Fu anche obbediente a Dio Padre, «obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8), nella quale, per la riconciliazione del genere umano, offrì a Dio, suo Padre, non il sangue di capri o di vitelli, ma il proprio sangue, per purificare la nostra coscienza dalle opere morte, per servire al Dio vivente (cf. Eb 9,13-14).
    Cristo è chiamato «pontefice dei beni futuri». Pontefice significa «che fa da ponte», «che è via per coloro che lo seguono». C'erano due sponde, una di fronte all'altra, la sponda della mortalità e quella dell'immortalità, tra le quali scorreva un fiume invalicabile, quello delle nostre iniquità e delle nostre miserie, delle quali dice Isaia: «Le vostre iniquità hanno scavato un abisso tra voi e il vostro Dio, e i vostri peccati vi hanno nascosto il suo volto, così che non vi dà più ascolto» (Is 59,2).
    Venne dunque Cristo, nostro aiuto e pontefice, che fece se stesso ponte dalla sponda della nostra mortalità a quella della sua immortalità, affinché su di esso, come su di un legno posto attraverso, potessimo passare al possesso dei beni futuri. Per questo è detto «pontefice dei beni futuri», e non dei presenti, che non ha mai promesso ai suoi amici; anzi ha detto loro: «Voi avrete tribolazioni nel mondo» (Gv 16,33). Cristo dunque venne per rimetterci i peccati, come pontefice dei beni futuri, cioè per darci i beni eterni. Chi dunque potrà mai accusarlo di peccato? Che cos'è il peccato se non la trasgressione della legge divina e la disobbedienza ai comandamenti di Dio? Chi dunque potrà accusare di peccato colui, la cui legge fu la volontà del Padre? (cf. Sal 1,2). Che obbedì non solo al Padre celeste, ma anche alla Madre sua poverella? «Chi di voi dunque mi potrà accusare di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete?». Non credevano alla verità perché erano figli del diavolo (cf. Gv 8,46), «che è menzognero, anzi padre della menzogna» (Gv 8,44), perché ne è l'inventore.

4. «Chi è da Dio ascolta le parole di Dio; per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio» (Gv 8,47). Il termine ebraico che indica «Dio» viene tradotto in greco con Theòs, che assomiglia a Déos e che significa timore. È da Dio colui che teme Dio, e chi teme Dio ascolta le sue parole. Infatti Dio, per bocca di Geremia, dice: «àlzati e scendi alla casa del vasaio, e lì ascolterai le mie parole» (Ger 18,2). Si alza colui che, preso da timore, si pente di ciò che ha fatto; e scende alla casa del vasaio quando riconosce di essere fango e teme che il Signore lo spezzi come un vaso di argilla (cf. Sal 2,9); e lì ascolta le parole del Signore, perché è da Dio, e perché teme Dio.
    Dice Girolamo: «È grande segno di predestinazione ascoltare volentieri le parole di Dio, e ascoltare le notizie della patria celeste, come uno che ascolta volentieri le notizie della patria terrena». Fare il contrario è segno di protervia. Quindi è detto: «Per questo voi non ascoltate, perché non siete da Dio»; come dicesse: Per questo voi non ascoltate Dio, perché non lo temete. Infatti dice Geremia: «A chi parlerò e chi scongiurerò perché mi ascolti? Ecco, le loro orecchie non sono circoncise e non possono ascoltare; ecco, la parola del Signore è per loro oggetto di scherno, e non la accolgono» (Ger 6,10). E di nuovo: «Questo dice il Signore: Ridurrò in marciume la grande superbia di Giuda», cioè dei chierici, «e quella di Gerusalemme», cioè dei religiosi, e «questo popolo malvagio», cioè i laici, «che non vuole ascoltare le mie parole e persiste nella caparbietà del suo cuore» (Ger 13,9-10). E continua: «Si sono ingranditi e arricchiti; sono grassi e pingui: hanno trascurato nel modo peggiore le mie parole. Non hanno difeso la causa della vedova. Forse che io non punirò tali colpe - dice il Signore -, o di gente simile non farà vendetta la mia anima?» (Ger 5,27-29). E parimenti: «Ecco, io mando sopra questo popolo la sventura, il frutto dei loro pensieri, perché non hanno ascoltato le mie parole e hanno rigettato la mia legge. Perché mi offrite l'incenso portato da Saba e la cannella odorosa che proviene da lontano? I vostri olocausti non mi sono graditi, e non mi piacciono i vostri sacrifici, dice il Signore» (Ger 6,19-20).
    Saba s'interpreta «rete» o «prigioniera». Nell'incenso è indicata la preghiera, nella canna (o cannella) la confessione del crimine o la proclamazione della lode. Chi non ascolta le parole di Dio e rigetta la sua legge, che è la carità - nella quale è la pienezza della legge (cf. Rm 13,10) -, costui invano presenta al Signore l'incenso della preghiera da Saba, cioè dalla vanità del mondo, dalla quale è irretito e tenuto prigioniero; e invano offre la cannella odorosa del canto di lode, che esala un soave profumo - aggiungi: se è fatto nella carità (cf. 1Cor 16,14) - ; cannella che proviene da una terra lontana, cioè da una mente impura, che tiene l'uomo lontano da Dio. «I vostri olocausti», cioè i vostri digiuni, «non mi sono graditi; e i vostri sacrifici», cioè i vostri oboli, «non mi piacciono, dice il Signore», perché avete rigettato la carità.
    In una parola: tutte le nostre opere sono inutili nei riguardi della vita eterna, se non sono profumate con il balsamo della carità.

5. «I giudei risposero dicendo: Non diciamo noi con ragione che tu sei un samaritano e che hai un demonio? Rispose Gesù: Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate. Io non cerco la mia gloria: c'è chi la cerca e giudica» (Gv 8,48-50).
    I Samaritani, trasferiti dall'Assiria, avevano conservato in parte i riti di Israele e in parte quelli dei pagani (cf. 4Re 17,24. 33. 41); con loro i giudei non tenevano relazioni (cf. Gv 4,9) perché li ritenevano impuri. Perciò quando volevano insultare uno lo chiamavano samaritano. Samaritani s'interpreta «custodi», perché erano stati mandati dai babilonesi a custodire, a vigilare sui giudei. Dicono dunque: Non diciamo noi a ragione che sei un samaritano? Gesù, non negando, accetta questa affermazione, perché egli è il custode: non dorme né sonnecchia chi custodisce Israele (cf. Sal 120,4), e vigila sul suo gregge. Infatti dice il Signore a Geremia: «Che cosa vedi, Geremia? Risposi: Vedo una verga vigilante», oppure - secondo un'altra versione - «vedo un ramo di noce, o di nocciolo o di mandorlo. E il Signore a me: Hai visto bene. Io infatti vigilo sulla mia parola per adempierla» (Ger 1,11-12).
    La verga, così chiamata da «vigore», o da verdore (viriditas), o anche perché governa, raffigura Gesù Cristo, che è potenza di Dio (cf. 1Cor 1,24), che è piantato lungo il corso delle acque (cf. Sal 1,3), cioè nella pienezza della grazia, che è «verde», cioè immune da ogni peccato, e che dice di se stesso: «Se fanno questo con il legno verde, che cosa sarà con quello secco?» (Lc 23,31). E a lui il Padre disse: «Li governerai con verga di ferro» (Sal 2,9), cioè con inflessibile giustizia. Questa verga vigilò sulla sua parola, perché si adempisse, perché ciò che predicò con la parola lo mostrò poi nelle opere. Vigila sulla sua parola colui che traduce nelle opere ciò che predica con la parola.

6. Altra applicazione. Cristo è detto «verga vigilante», perché come il ladro veglia di notte e ruba dalla casa di chi dorme, asportando le cose con una verga nella quale c'è un uncino, così Cristo, con la verga della sua umanità e con l'uncino della sua croce, ha rubato le anime al diavolo. Infatti disse: «Quando sarò elevato da terra, trarrò tutti a me» (Gv 12,32), con l'uncino della santa croce. Anche il giorno del Signore verrà di notte come un ladro (cf. 1Ts 5,2). E nell'Apocalisse si legge: «Se non sarai vigilante, verrò da te come un ladro» (Ap 3,3).
    Parimenti, Cristo è detto verga di noce (o nocciolo) o di mandorlo. Osserva che il frutto di queste piante ha il nucleo (gheriglio o mandorla) dolce, il guscio solido e la buccia (mallo) amara. Nel nucleo dolce è raffigurata la divinità di Cristo, nel guscio solido la sua anima, nella buccia amara, la sua carne, il suo corpo, che subì l'amarezza della passione. Cristo vigilò sulla parola del Padre, che chiama «suo» perché con il Padre fu «uno», per adempierla. Dice infatti: «Come il Padre mi ha ordinato, così faccio» (Gv 14,31). Io perciò non ho un demonio, perché eseguo il comando del Padre. Quindi i falsi giudei affermano, bestemmiando, il falso: «Hai un demonio». Della loro bestemmia Geremia, parlando in nome di Cristo, dice: «Guai a me, madre mia! Perché mi hai partorito, uomo di rissa, uomo di discordia in tutta la terra? Mai ho dato a prestito, e mai nessuno ha fatto prestito a me: tutti mi maledicono, dice il Signore» (Ger 15,10-11).
    Osserva che il «guai» è duplice: c'è quello della colpa e quello della pena. Cristo ebbe quello della pena, ma non quello della colpa. Quindi: «Guai a me, madre mia! perché mi hai generato a sì grande pena, uomo di rissa e uomo di discordia?». La rissa è quella che si accende tra molte persone, perciò ecco il rissoso - così chiamato dal ringhio del cane - perché è sempre pronto a contraddire e litigare. E «discordia» è come dire «cuori diversi» (diversa corda): discordare è come aver cuore diverso. Così tra i giudei, a motivo delle parole di Cristo, c'era rissa, perché erano sempre pronti, come cani, ad abbaiare e a contraddire; e avevano cuore diverso: alcuni infatti dicevano: «È buono!». Altri invece replicavano: «No, inganna le folle» (Gv 7,12).
    «Non ho dato a prestito e nessuno ha fatto prestiti a me». Foenerator (in lat. ) si chiama sia colui che fa il prestito, come colui che lo riceve (Isidoro, Etimologie). Cristo non fu foenerator, perché non trovò tra i giudei nessuno al quale prestare la somma della sua dottrina; non fu foenerator perché nessuno volle moltiplicare con le buone opere il tesoro del suo insegnamento. Anzi tutti scagliavano improperi contro di lui, dicendo: Sei un samaritano e hai un demonio. E Gesù rispose: Io non ho un demonio. Rifiuta la falsa accusa, ma nella sua pazienza non ritorce l'oltraggio, e risponde: «Io onoro il Padre mio», tributandogli il debito onore, attribuendo tutto a lui; «voi invece mi disonorate».
    Sempre parlando in nome di Cristo, dice Geremia: «Di fronte al mio popolo sono divenuto lo scherno di ogni giorno» (Lam 3,14); e ancora: «Porgerà la guancia a chi lo percuote, sarà saziato di ignominie» (Lam 3,30). «Ma io non cerco la mia gloria», come gli uomini che alle ingiurie rispondono con altre ingiurie; la sua gloria l'attende dal Padre, e quindi soggiunge: «C'è chi la cerca e giudica». E sempre per bocca di Geremia: «Ora, Signore degli eserciti, che giudichi con giustizia e scruti il cuore e la mente, possa io vedere la tua vendetta su di loro» (Ger 11,20).
    Osserva ancora che il giudizio è duplice: il primo di dannazione, del quale è detto: «Il Padre non giudica alcuno, ma ha affidato ogni giudizio al Figlio» (Gv 5,22); il secondo di dissociazione, del quale il Figlio, nell'introito della messa di oggi dice: «Giudicami, o Dio, e dissocia la mia causa da quella di gente non santa» (Sal 42,1). In questo senso è detto: È il Padre che cerca la mia gloria, e la dissocia dalla vostra, perché voi vi gloriate secondo questo mondo; ma io no: la mia gloria è quella che ho avuto dal Padre, prima che il mondo esistesse, ed è molto diversa dalla millanteria umana.

7. Senso morale. «Hai un demonio». «Demonio» è detto dai greci daimònion, cioè «esperto», conoscitore delle cose. Dàimon in greco significa conoscitore, che sa molto. Quando dunque qualcuno, adulandoti o approvandoti, ti dice: Sei un esperto e sai tante cose, ti dice: «Hai un demonio». Ma tu devi immediatamente rispondere con Cristo: «Io non ho un demonio». Da me stesso non so niente, non ho niente di buono, ma onoro il Padre mio. A lui attribuisco tutto, a lui rendo grazie, da lui viene ogni sapienza, ogni capacità, ogni scienza. Io non cerco la mia gloria e dico con il beato Bernardo: «Verbo della vanagloria, non mi toccare; ogni gloria è dovuta solo a colui al quale si dice: Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo». E sempre Bernardo continua: «L'angelo non cerca in cielo la gloria da un altro angelo. E l'uomo vorrà qui in terra essere lodato da un altro uomo?».

8. «In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno. Dissero allora i giudei: Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo è morto come anche i profeti, e tu dici: Chi osserva la mia parola non vedrà la morte in eterno? Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? E anche i profeti sono morti: chi pretendi di essere? Rispose Gesù: Se io glorifico me stesso, la mia gloria è nulla» (Gv 8,51-54).
    «Amen», che significa «in verità», «sinceramente» e «sia fatto», è un termine ebraico, come alleluia. E come Giovanni racconta nell'Apocalisse che in cielo si udirono le parole «amen» e «alleluia» (cf. Ap 19,1. 3-4), così queste due parole sono state insegnate dagli apostoli a tutte le genti perché le proclamassero qui in terra.
    «In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». La morte (mors) deriva il suo nome dal morso del primo uomo, che mordendo il frutto dell'albero proibito, incontrò la morte. Se avesse osservato la parola del Signore: «Mangia pure i frutti di ogni albero del giardino, ma non mangiare quello dell'albero della conoscenza del bene e del male» (Gn 2,16-17), non sarebbe morto in eterno. Ma poiché non la osservò, andò incontro alla morte, e perì insieme con tutta la sua posterità. Per questo Geremia dice: «Olivo rigoglioso, bello, fecondo, attraente, era il nome con cui il Signore ti chiamò. Ma al suono di una «grande parola», divampò su quella pianta il fuoco e i suoi frutti furono bruciati» (Ger 11,16).
    La natura umana, prima del peccato, fu nella sua creazione un olivo, fu creata in un «campo damasceno»1 [luogo arido], ma fu poi piantata, per così dire, in un giardino di delizie; fu rigogliosa e fertile per i doni gratuiti, bella per i doni di natura, fruttifera per la fruizione della beatitudine eterna, attraente nella sua innocenza. Ma ahimè, al suono di quella «parola grande», cioè della suggestione diabolica che prometteva grandi cose - «sarete come dèi» (Gn 3,5) - il fuoco della vanagloria e dell'avarizia divampò in essa, e così furono bruciati tutti i suoi frutti, cioè tutta la sua posterità.
    O figli di Adamo, non vogliate imitare i vostri padri, che non ascoltarono la parola del Signore e perciò andarono in rovina; voi invece ascoltatela: «In verità, in verità vi dico: Se ascolterete la mia parola, non gusterete morte in eterno». È chiaro che qui gustare sta per sperimentare.

9. «Risposero allora i giudei: Adesso sappiamo che hai un demonio». O follia di menti dissennate! O perfidia di gente diabolica. Non vi è bastato di scagliare una volta un sì orribile e infame vituperio contro un innocente, immune da ogni vizio, ma lo ripetete una seconda volta: Adesso sappiamo che hai un demonio! O ciechi, se l'aveste veramente conosciuto, non avreste affermato che egli aveva un demonio, ma avreste creduto ch'egli era il Signore, il Figlio di Dio! «Abramo è morto», non però della morte di cui parlò il Signore, ma solo di morte corporale, della quale è detto nella Genesi: «I giorni della vita di Abramo arrivarono a centosettantacinque anni. Poi venne meno e morì in serena vecchiaia, in età molto avanzata e sazio di giorni. Fu riunito al suo popolo, e i suoi figli Isacco e Ismaele lo seppellirono in una caverna doppia» (Gn 25,7-9).

10. Senso morale. Abramo è figura del giusto, la cui vita deve durare centosettantacinque anni. Nel numero cento, che è numero perfetto, è indicata tutta la perfezione del giusto; nel numero settanta, che è formato dal sette e dal dieci, è indicata l'infusione della grazia dei sette doni dello Spirito e l'adempimento dei dieci comandamenti; nel numero cinque è indicato il retto uso dei cinque sensi. Quindi la vita del giusto dev'essere perfetta per l'infusione della grazia dei sette doni, per l'adempimento del decalogo e per il retto uso dei cinque sensi. E così rifuggirà dall'attaccamento a questo mondo e morirà al peccato, sarà pieno, e non vuoto, di giorni, riunito al suo popolo. Dice il Signore per bocca di Isaia: «I giorni del mio popolo saranno come quelli dell'albero» (Is 65,22), cioè di Gesù Cristo, perché egli vivrà e regnerà in eterno, e con lui anche il suo popolo. Dice infatti nel vangelo: «Io vivo, e anche voi vivrete» (Gv 14,19).
    «E i suoi figli Isacco e Ismaele lo seppellirono in una caverna doppia». Isacco s'interpreta «gaudio», Ismaele «ascolto di Dio». Il gaudio della speranza del cielo e l'ascolto dei divini precetti seppelliscono il giusto nella duplice spelonca della vita attiva e contemplativa, perché sia protetto al riparo del volto di Dio, nascosto agli intrighi degli uomini e lontano delle lingue che contraddicono (cf. Sal 30,21). E della loro contraddizione è detto: «Chi pretendi di essere?». Secondo loro pretendeva, era solo una pretesa il fatto di dichiararsi Figlio di Dio, uguale a lui, come non lo fosse. Ma Cristo non lo pretendeva: lo era in realtà. Infatti l'Apostolo afferma: «Non stimò un furto il proclamarsi uguale a Dio» (Fil 2,6). Essi invece non domandano «chi sei?», ma «chi pretendi di essere?», per chi vuoi farti passare? Ed egli: «Se io glorifico me stesso, la mia gloria è niente». Contro ciò che dicono: «Chi pretendi di essere?», rimette la sua gloria al Padre, al quale deve l'essere egli stesso Dio.

11. «Chi mi glorifica è il Padre, che voi dite essere il vostro Dio, e non lo conoscete. Io invece lo conosco; e se dicessi che non lo conosco, sarei come voi un mentitore. Ma lo conosco e ascolto la sua parola» (Gv 8,54-55).
    Osserva che il Padre glorificò il Figlio suo nella natività, quando lo fece nascere da una Vergine; nel fiume Giordano e nel monte, quando disse: «Questi è il mio Figlio diletto» (Mt 3,17; 17,5); lo glorificò anche nella risurrezione di Lazzaro, e nella sua risurrezione e ascensione. Perciò Gesù disse: «Padre, glorifica il tuo nome. Venne allora una voce dal cielo: L'ho glorificato» nella risurrezione di Lazzaro, «e di nuovo lo glorificherò» (Gv 12,28) nella sua risurrezione e ascensione.
    È il Padre dunque che mi glorifica, e voi dite di lui che è il vostro Dio. Qui hai una chiara testimonianza contro gli eretici, i quali sostengono che la legge è stata data a Mosè dal Dio delle tenebre. Ma il Dio dei giudei, che ha dato la legge a Mosè, è il Padre di Gesù Cristo: quindi è il Padre di Gesù Cristo che ha dato la legge a Mosè. «E voi non lo conoscete» spiritualmente, finché servite alle cose terrene. «Io invece lo conosco» perché sono «uno» con lui. «E se dicessi che non lo conosco», mentre lo conosco, «sarei un mentitore come voi», che dite di conoscerlo, mentre non lo conoscete. «Ma io lo conosco e osservo la sua parola». Egli, come Figlio, diceva la parola del Padre, ed egli stesso era la Parola (Verbo) del Padre, che parlava agli uomini. Quindi conserva (serbat) se stesso, cioè conserva in se stesso la divinità.

12. «Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno: lo vide e se ne rallegrò. Dissero allora i giudei: Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo? E Gesù rispose: In verità, in verità vi dico, prima che Abramo fosse, io sono» (Gv 8,56-58). Fate attenzione a queste tre parole: esultò, vide, se ne rallegrò. E nota anche che tre sono i giorni del Signore: la natività, la passione, la risurrezione.
    Del primo giorno dice Gioele: «In quel giorno scaturirà una fonte dalla casa di Davide e irrigherà il torrente delle spine» (Gl 3,18). Nel giorno della natività, una fonte, cioè Cristo, scaturirà dalla casa di Davide, cioè dal seno della beata Vergine, e irrigherà il torrente delle spine, vale dire ci solleverà dal cumulo delle nostre miserie, dalle quali ogni giorno siamo punti e feriti [come da tante spine].
    Del secondo giorno dice Isaia: «Nella fermezza del suo spirito ha preso delle risoluzioni per il giorno dell'ardore» (Is 27,8). Nel giorno della passione, nella quale il Signore sopportò l'ardore dei tormenti e della fatica, nella fermezza del suo spirito, mentre pendeva dalla croce, stabilì in quale modo avrebbe mandato in rovina il diavolo e strappato dalla sua mano il genere umano.
    Del terzo giorno dice Osea: «Il terzo giorno ci risusciterà e noi vivremo alla sua presenza; comprenderemo e seguiremo il Signore per conoscerlo» (Os 6,3). Il terzo giorno Cristo, risorgendo dai morti, risuscitò anche noi con sé, cioè con una risurrezione conforme alla sua, poiché come egli è risorto, anche noi crediamo che saremo risuscitati nella risurrezione generale. E allora vivremo, comprenderemo e lo seguiremo per conoscere. In questi quattro termini vediamo indicate le quattro proprietà del corpo glorificato: vivremo, ecco l'immortalità; comprenderemo, ecco la sottigliezza (dell'intelligenza); seguiremo, ecco l'agilità; per conoscere il Signore, ecco la luminosità.
    Abramo dunque, cioè il giusto, nel giorno della natività esulta per il Verbo incarnato, con l'occhio della fede lo vede pendere dal patibolo della croce, e sa che con lui godrà immortale nel regno dei cieli.
    Allora i giudei, considerando in lui solo l'età del corpo, e non la natura divina, gli dissero: «Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?». Forse il Signore a trentuno o trentadue anni, per l'eccessiva fatica e per la continua predicazione, mostrava una età superiore. E quindi disse loro: «Prima che Abramo fosse (fieret), io sono». Non disse esset, ma fieret (fosse fatto), perché Abramo era una creatura; di sé non disse factus, ma sum (sono) perché è il creatore.

13. «Allora presero delle pietre per scagliargliele contro. Ma Gesù si nascose e uscì dal tempio» (Gv 8, 59). I giudei ricorrono alle pietre, per lapidare la pietra angolare, colui che riunì in se stesso le due pareti, cioè il popolo giudaico e il popolo dei pagani, due popoli che si avversavano. I giudei, i cui padri avevano lapidato in Egitto il profeta Geremia, imitando la loro cattiveria, volevano lapidare il Signore dei profeti (cf. Eb 11,37). Perciò di loro dice il Signore: «Siete figli di coloro che uccisero i profeti. E voi colmate la misura dei vostri padri» (Mt 23,31-32).

14. Senso morale. I falsi cristiani, figli estranei, cioè del diavolo, che hanno mentito al Signore violando il patto del battesimo, per quanto sta in loro lapidano ogni giorno, con le dure pietre dei loro peccati, il loro padre e signore Gesù Cristo, dal quale hanno preso il nome di cristiani; e tentano di ucciderlo, di uccidere cioè la fede in lui.
    Questi cristiani sono come il figli dell'avvoltoio, che lasciano morire di fame il loro padre. Non sono come i figli della gru, che espongono se stessi alla morte per salvare il padre, quando il falco lo insegue; e quando il padre è vecchio e non è più in grado di cacciare, lo nutrono essi stessi.
    Il nostro Padre, come un povero affamato, bussa alla porta perché gli apriamo e gli diamo, se non proprio la cena, almeno un boccone. «Io - dice nell'Apocalisse - sto alla porta e busso: se uno mi aprirà, entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Ma noi, figli degeneri, lasciamo morire di fame il nostro padre, come fanno i nati dell'avvoltoio. Perciò egli si lamenta di noi per bocca di Geremia: «Sono forse divenuto un deserto per Israele, o una terra senza sole? Perché il mio popolo mi ha detto: Ce ne siamo andati via e non verremo più da te? Si dimentica forse una vergine dei suoi ornamenti, e la sposa della fascia del suo petto? Eppure il mio popolo si è dimenticato di me per giorni e giorni» (Ger 2,31-32). Il Signore non è un deserto o una terra senza sole, dove nessun frutto, o solo pochi frutti vengono prodotti; al contrario, è il giardino del Padre, è la terra benedetta, dove qualunque cosa seminiamo, ricaveremo il centuplo.
    Perché dunque noi, miserabili, ci allontaniamo da lui e ci dimentichiamo di lui per sì lungo tempo? Ma l'anima, sposa di Cristo, vergine per la fede e la carità, non può dimenticarsi del suo ornamento, cioè dell'amore divino del quale è come adorna, e della fascia del suo petto, cioè della coscienza pura, con la quale si sente tranquilla.
    Fratelli carissimi, siamo, ve ne prego, come i figli della gru, per essere pronti, se è necessario, ad esporci alla morte per il nostro padre, cioè per la fede nel nostro padre, e in questo mondo ormai invecchiato e presto in rovina, ristoriamolo con le buone opere, proprio perché non accada anche a noi quello che dice il vangelo: «Allora Gesù si nascose e uscì dal tempio». È per questo che dalla domenica presente, chiamata «domenica di Passione», non si recita nei responsori il «Gloria al Padre»; tuttavia non si tralascia completamente (si recita alla fine dei salmi), giacché il Signore non è ancora stato consegnato nelle mani dei carnefici.
    Preghiamo dunque, e con le lacrime imploriamo il Signore di non nasconderci il suo volto e di non uscire dal tempio del nostro cuore. Nel suo giudizio non ci accusi e non ci convinca di peccato, ma infonda in noi la grazia di ascoltare con la massima devozione la sua parola. Ci dia la pazienza per sopportare le ingiurie, ci liberi dalla morte eterna; ci glorifichi nel suo regno, affinché meritiamo di vedere il giorno della sua eternità con Abramo, Isacco e Giacobbe.
    Ci conceda tutto questo colui al quale è onore, potestà, splendore e dominio nei secoli eterni. E tutta la chiesa risponda: Amen!