È stata inaugurata questa mattina fuori dalla Basilica di S. Antonio, tra piazza del Santo e l’angolo con via Orto Botanico, la Pietra d’inciampo realizzata dall'artista Gunter Demnig in ricordo di padre Placido Cortese, il frate del Santo e direttore del «Messaggero di sant’Antonio» durante la Seconda guerra mondiale. Il francescano, già dichiarato Servo di Dio e di cui prosegue la causa di canonizzazione, durante il conflitto e in particolare dopo l’8 settembre 1943, dal suo confessionale coordinava in segreto le operazioni di salvataggio di centinaia di ebrei, soldati alleati e civili perseguitati dalla furia nazifascista, diventando il punto di riferimento più importante, nella zona di Padova, del “Fra.Ma”, organizzazione clandestina sorta durante la Resistenza, facente capo ai docenti universitari Ezio Franceschini (Fra) e Concetto Marchesi (Ma).
La Pietra d’inciampo è stata collocata nel punto esatto in cui, l’8 ottobre 1944, il frate venne rapito da due emissari della polizia segreta nazista e trasferito nel bunker della Gestapo a Trieste, dove venne barbaramente torturato per estorcergli, invano, i nomi dei suoi collaboratori e alla fine ucciso. Il suo corpo venne cremato nel lager nazista della Risiera di San Sabba a Trieste e i tedeschi non lasciarono traccia del suo nome, nel vano tentativo che della sua storia si perdessero le tracce.
La posa della Pietra d’inciampo dedicata a padre Cortese, nei giorni antecedenti il “Giorno della memoria”, è avvenuta alla presenza del rettore della Basilica del Santo, padre Oliviero Svanera; di padre Giorgio Laggioni, vicerettore e vice postulatore nella causa di canonizzazione; di Sergio Giordani, Sindaco di Padova; di Gianni Parenzo, presidente della Comunità ebraica di Padova; di Giuliano Pisani, vicepresidente del comitato scientifico del Giardino dei Giusti del mondo di Padova.
«Un altro riconoscimento si aggiunge ai precedenti, tutti autorevoli, per onorare il Servo di Dio Cortese, per trasmettere a questa e alle future generazioni la testimonianza di un uomo, religioso francescano e sacerdote, sempre animato, in vita e in morte, dall’amore a Dio e al prossimo, di ogni appartenenza culturale e religiosa, fino al sacrificio della propria vita, fino al martirio. La “pietra d’inciampo” obbliga, quasi, a fermarsi e a riflettere, a recuperare l’identità e la consistenza, anche fisica, ma soprattutto spirituale, di una persona alla quale si è tentato di togliere tutto questo. Nel caso di Cortese, l’odierno riconoscimento contribuisce a manifestare nei suoi confronti la gratitudine sincera per quanto egli ha saputo compiere, facendo brillare nell’oscurità del suo tempo la luce di quell’Amore che, secondo l’apostolo Giovanni, è Dio stesso: "Dio è Amore"».
- padre Giorgio Laggioni, vicepostulatore della causa di canonizzazione di padre Cortese -
L’inaugurazione della Pietra d’inciampo per padre Placido è seguita a quelle di altre tre pietre dedicate, nella stessa mattinata, ad altrettanti ebrei deportati e uccisi nei campi di sterminio, che portano a 28 il numero di pietre posate a Padova a ricordo di ebrei morti nei lager: in via delle Piazze quella di Celina Trieste, uccisa a Trieste nella Risiera di San Sabba; in via San Martino e Solferino quelle di Guido Usigli ed Ester Giovanna Colombo, uccisi ad Auschwitz.
«Questa pietra è un ulteriore piccolo segno per alimentare la memoria di chi, come padre Placido, ha sacrificato la propria vita per la giustizia e la carità. Per noi ha un significato particolare perhè la sua figura e la sua opera, dopo la sia cattura e morte aveva subito l’oblio del tempo e della memoria. Solo a metà degli anni ’90 del secolo scorso, per vie provvidenziali si è progressivamente messa a fuoco e palesata la verità sull’eroica fine del nostro confratello».
- padre Oliviero Svanera, rettore della basilica -
La cerimonia si è conclusa con la lettura da parte di padre Alessandro Fortin di un intenso brano tratto da I fioretti di padre Placido. Martire francescano della carità e del silenzio (di Giorgio Laggioni e Piero Lazzarin, Edizioni Messaggero Padova, 2020) che ricostruisce la cattura di padre Cortese a Padova l’8 ottobre 1944 e la morte nella sede delle Gestapo, in Piazza Oberdan a Trieste, nel novembre 1944.
Leggi il testo dell’intervento in memoria di p. Cortese.
In onore di padre Cortese, inoltre, la Veneranda Arca di Sant’Antonio d’intesa con la comunità francescana del Santo ha da poco collocato all’interno del Museo Antoniano un “Reliquiario-Testimonianza” a lui dedicato. L’opera, donata dall’artista Paolo Marcolongo, contiene al suo interno alcune schegge del muro del bunker in cui padre Placido fu imprigionato a Trieste e un frammento di carta dove padre Placido appuntò la parola “santo”.
Insignito nel 2018 dal presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella della Medaglia d’oro al merito civile, padre Cortese, originario di Cherso, venne torturato a morte per non aver tradito i compagni con i quali aveva condiviso una forte esperienza di carità, mettendo ogni giorno a repentaglio la propria vita per salvare quella degli altri, testimoniando così i valori dell’amore, della solidarietà, della fraternità e della pace.
Anche se si è in attesa della promulgazione del decreto sull’eroicità delle virtù, egli è di fatto un “martire della carità”, come il confratello polacco padre Massimiliano Kolbe, lasciato morire di fame in un bunker di Auschwitz per aver voluto sostituire un padre di famiglia condannato alla stessa sorte. I due francescani martiri vengono ora ricordati a pochi metri di distanza, nella stessa piazzetta vicino alla basilica.
Leggi il profilo biografico di p. Cortese a cura della vicepostulazione.