Cari amici e amiche di Sant’Antonio, fratelli e sorelle!
Ormai vicini al 13 giugno insieme a voi desideriamo metterci accanto a questo nostro caro amico portoghese, che nella nostra terra di Padova ha concluso la sua vita. È il santo di tutti! Il santo a cui tantissime persone in tutto il mondo si rivolgono nella fiduciosa speranza di essere accolte e ascoltate.
La festa solenne di Sant’Antonio ci trova quest’anno, ancora una volta, con il cuore desideroso di pace, di una pace che sembra sempre più lontana, che si fa sempre più desiderare perché, ai conflitti già attivi un anno fa – in Ucraina e non solo – se ne sono aggiunti altri – in Sudan e non solo.
Alla violenza della guerra si assommano, in queste settimane, le sofferenze a noi vicine dei nostri fratelli e sorelle della Romagna che hanno visto in pochissimo tempo andare in frantumi abitazioni, luoghi di lavoro e, purtroppo, anche morire tragicamente persone care.
Affidarsi all’intercessione di sant’Antonio richiede dunque fede, la fede nella preghiera incessante, la fede nel Signore della vita che, nonostante le ferite dell’umanità, sa farsi presente come compagno di viaggio e fonte di speranza.
Vogliamo innanzitutto metterci dinanzi alla testimonianza di vita di sant’Antonio, per lasciarci ispirare dal suo stile e per cercare d’imparare qualcosa dalla concretezza della sua fede vissuta. Antonio è l’uomo del Vangelo. Noi custodiamo nel cuore la ferma certezza che il Vangelo abbia molto da dire per la vita degli uomini e delle donne, per guardare a un futuro sostenibile e umano, per alimentare la forza delle speranze che, pur riguardando le cose materiali e organizzative, rimandano a qualcosa di immateriale e di spirituale. Antonio, a distanza di tanti secoli, ci aiuta a individuare una strada per servire gli uomini e le donne di oggi. E questo è il senso ultimo anche del Sinodo che la nostra Chiesa di Padova sta celebrando.
Se c’è un tratto che colpisce sempre, della vicenda biografica del nostro caro amico Antonio, è il suo sguardo acuto e intelligente. Da un lato lo intuiamo profondamente assorto in Dio, scrutatore attento della Sacra Scrittura; dall’altro lo scopriamo attentissimo alle vicende del suo tempo, con l’udito quanto mai sensibile alla voce dei poveri e di tutti coloro che, pur non osando parlare, innalzano il loro grido di fronte alle più diverse e subdole forme di ingiustizia e di sfruttamento. Vien da dire che il nostro santo ci richiama tutti, credenti o non credenti, a saper utilizzare la nostra intelligenza, ad avere il coraggio di pensare, non per astrarsi da ciò che accade, ma per dimorare nel mondo con realismo concreto e dedizione appassionata, solidale. Lo sappiamo: più facile e appagante potrebbe sembrare lasciarsi trascinare dall’onda dell’opinione diffusa, dalla seduzione dei media più attraenti. La fierezza di sapere e voler pensare: Antonio ci aiuti a ridestare in noi l’attaccamento geloso e audace a tale libertà interiore, per comprendere e abitare creativamente la vita.
Ed è proprio l’imprevisto della vita che fa di Antonio, in qualche modo, un uomo «avventuroso». I sobbalzi della sua vicenda, i frequenti cambiamenti di rotta lo hanno condotto su strade inedite. Il suo pianificare ha incontrato più e più volte il contraccolpo di svolte inaspettate. Eppure ha saputo mantenere fisso lo sguardo alla meta, orientato verso ciò che il suo cuore ha ritenuto essenziale e fondamentale. Il suo tocco di genialità, in altre parole, si è espresso nel mantenersi in dialogo tra questi due poli: il bisogno umanissimo di darsi degli obiettivi, ma anche il coraggio di saperli modificare ogniqualvolta la vita glielo ha chiesto. Forse noi conosciamo di più l’atteggiamento di chi non si dà alcuna meta, e vive in modo ondivago e distratto; oppure la testardaggine di rimanere a tutti i costi aggrappati a obiettivi che non sanno tenere conto della vita degli altri, del gemito della creazione.
Antonio ci suggerisca la bellezza feconda di saperci orientare verso ciò che è davvero all’altezza della nostra umana dignità, verso un tempo futuro che sappia sbilanciarsi e rischiare in favore della gioia e della vita degli altri. Potremmo chiedere, con le parole stesse di sant’Antonio, che il nostro vivere abbia come orientamento quello di rendere visibile lo Spirito di Dio: «lo Spirito Santo non può essere veduto se non per mezzo delle creature nelle quali opera». Diamo dunque visibilità allo Spirito ricevuto a Pentecoste, mediante i mille gesti della prossimità fraterna.
In un clima di generale, reciproca sospettosità Antonio sta davanti a noi come uomo che non rinuncia a fidarsi. Anche al cospetto dei potenti più ostinatamente aggressivi sa accordare parole che tentano di smuovere, di orientare, di raddolcire. E di fronte ai peccatori più abbattuti vuole aprire spiragli di fiducia, indicando a tutti la possibilità di ripartire sempre, senza scoraggiarsi mai, senza lasciarsi inchiodare dagli errori commessi. La condanna facile, l’opinione scagliata come macigno definitivo, il pettegolezzo arcigno e sadico sono tutte piaghe che avvelenano la nostra vita, pubblica e privata. Piaghe che attestano la nostra incapacità di fidarci, di noi stessi e degli altri. Un flusso di amarezza che può essere arginato e prosciugato dalla nostra mitezza, fragile forza – e intelligentissima – di chi sceglie l’ascolto, l’attesa e l’accoglienza come linfa vitale da far girare, contro le chiusure gridate e le rabbiosità lanciate ai quattro venti. La mitezza di Antonio ci offra ancora un eccezionale antidoto contro tutto questo!
Sant’Antonio sapeva parlare, ma sapeva anche agire. Ci consegna efficacemente l’immagine di un credente operoso e concreto, dedito a prendersi cura degli altri, a indicare vie nuove di libertà; con lo stile umile di chi scava radici sepolte che promettono germogli, senza disperdersi in pianificazioni troppo teoriche e incapaci di portare frutto. Il richiamo alla concretezza divenga per noi generoso impegno a non lasciar cadere l’appello di aiuto dei nostri fratelli e sorelle che vivono nella precarietà.
Rimane vivo, lo dicevamo subito, il grande anelito affinché ritorni la pace. Cosa possiamo fare? Se non siamo in grado di agire direttamente nelle decisioni dei potenti, possiamo però portare sulle nostre spalle almeno un po’ del peso che grava su chi patisce la violenza delle armi. Come? Dedicandoci alla comunione fra di noi, non lasciando che crescano a dismisura le pareti della discordia; mandando in frantumi le barriere dell’indifferenza.
Infine per tutti, davvero per tutti, sant’Antonio rimarrà sempre un faro che ci indica come sia possibile lasciarsi riconciliare da Dio. La pace inizia sempre dai nostri cuori e probabilmente nessuna pace nel mondo è pensabile se noi, per primi, non facciamo l’esperienza del volto buono di Dio, che si china su di noi per rimetterci in sesto riabilitati dal suo abbraccio paterno. Forse male non fa, quest’anno, nel 150° anno dalla morte di Alessandro Manzoni, riandare con la memoria alle lacrime commosse dell’Innominato, riaccolto con tenerezza dal Signore tramite l’abbraccio del cardinal Federigo:
«L’innominato, sciogliendosi da quell’abbraccio, si coprì di nuovo gli occhi con una mano, e, alzando insieme la faccia, esclamò: “Dio veramente grande! Dio veramente buono! Io mi conosco ora, comprendo chi sono; le mie iniquità mi stanno davanti; ho ribrezzo di me stesso; eppure...! Eppure provo un refrigerio, una gioia, sì una gioia, quale non ho provata mai in tutta questa mia orribile vita”».
Proprio così: conosciamo davvero noi stessi quando ci scopriamo limitati e iniqui, tuttavia contenti di essere refrigerati dal perdono di Dio. È forse il dono più incredibile che possiamo sempre scambiarci, tra fratelli e sorelle; quello del perdono reciproco, fatto di abbracci e di sguardi che incarnano la misericordia del Signore per tutti noi suoi figlie e figlie.
fra Antonio Ramina, Rettore della Basilica del Santo e mons. Claudio Cipolla, Vescovo di Padova