Sermoni Festivi

NATIVITÀ DI SAN GIOVANNI BATTISTA

1. «Per Elisabetta si compì il tempo del parto ed essa diede alla luce un figlio» (Lc 1,57). In questo vangelo dobbiamo considerare due eventi: - la nascita del Precursore - l'imposizione del nome.

2. «Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio». La beata Vergine Maria restò tre mesi nella casa di Zaccaria, assistendo Elisabetta, sua parente, fino a che avvenne il parto. E si legge nel Libro dei Giusti1 che la beata Vergine Maria sollevò da terra Giovanni, appena nato.
    «Si compì il tempo». La sacra Scrittura usa di solito la parola «compimento» soltanto per la nascita, o per la morte o per le opere dei buoni, indicando così che la loro vita ha il compimento, la pienezza della perfezione. Per esempio: «Si compirono per Maria i giorni del parto» (Lc 2,6); «Abramo morì, pieno di giorni» (Gn 25,8). Al contrario, i giorni dell'empio sono inutili e vuoti. Per Elisabetta, dunque, si compì il tempo del parto. Zaccaria, come racconta Luca, era entrato nel tempio per offrire l'incenso; gli apparve Gabriele che gli disse: Elisabetta tua moglie ti partorirà un figlio (cf. Lc 1,9-13). Questo gli fu annunziato nel mese di settembre, quando si celebrava la solennità chiamata giorno dell'espiazione o della propiziazione, e come oggi la promessa si avverò.
    Vedremo che cosa significhi in senso morale Zaccaria, che s'interpreta «ricordo del Signore» o «che ricorda il Signore»; che cosa significhi Elisabetta, che s'interpreta «la settima del mio Dio».
3. Elisabetta è figura dell'anima fedele che giustamente è detta «la settima del mio Dio» a motivo dei «tre settenari» che la riguardano in modo tutto speciale, vale a dire i sette doni (dello Spirito Santo), le sette domande (del Padre nostro) e le sette beatitudini. Con il primo settenario l'anima viene giustificata, con il secondo viene fatta progredire dal bene al meglio, con il terzo viene resa perfetta. O anche è detta «settima», ossia sabato, cioè riposo, perché nell'anima Dio riposa, in quanto essa si astiene da ogni lavoro servile. «L'anima del giusto è sede della sapienza» (Gregorio). Nella pace, cioè nell'anima pacifica, è la sua dimora (cf. Sal 75,3). Di questo sabato, dice Isaia: «Sarai chiamata sabato di delizie e giorno santo e glorioso del Signore» (Is 58,13). Giorno delicatus, deliciis pastus, nutrito di delizie. E le delizie sono appunto i tre settenari sopra indicati, nei quali l'anima si nutre per essere un sabato di delizie, cioè nutrito di santità di vita e di plauso della coscienza.
    Elisabetta concepisce da Zaccaria. Dice il salmo: «Mi sono ricordato di Dio e fui pieno di gaudio; mi immersi nella meditazione e venne meno il mio spirito» (Sal 76,4). La donna concepisce nel piacere, e così anche l'anima nel ricordo del Signore concepisce con grande diletto. Infatti il salmo dice: «Nella via della tua testimonianza», cioè dei tuoi dolori, della tua passione, «ho trovato diletto, come nei più grandi tesori» (Sal 118,14). La corona di spine, la croce, i chiodi, la lancia e tutti gli atroci tormenti di Cristo formano la delizia del giusto: in essi egli trova più consolazione e diletto che in tutte le ricchezze di questo mondo; e perciò dice: «Mi sono ricordato di Dio e ne ho avuto grande gaudio». E questo gaudio produce due effetti: la pratica delle opere di carità, e il venir meno nello spirito della fiducia in se stesso; oppure anche i due effetti di cui parla il salmo: «Venne meno la mia carne e il mio cuore», cioè la tentazione della carne e la superbia del cuore, e così «Dio del mio cuore e mia parte è Dio per l'eternità» (Sal 72,26) per concepire da lui e partorire il figlio della vita eterna.
    Considera che Elisabetta concepì nel settimo mese, cioè in settembre, e partorì nel mese di giugno. Così l'anima concepisce nel settimo giorno, il sabato, cioè nel riposo, con la devozione della mente; e in giugno, chiamato in ebraico siban, - che s'interpreta «santità del dono» - partorisce il figlio, cioè l'opera buona. Infatti il dono della grazia che ha concepito nella mente, lo dà alla luce nella santità delle opere.
4. «Si compì dunque per Elisabetta il tempo del parto, e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei» (Lc 1,57-58). La Glossa commenta: Il parto dei santi, vale a dire la loro nascita, comporta una grande gioia per molti, perché essi sono una ricchezza per la comunità: i santi nascono per il bene di tutti. La giustizia (la santità) infatti è una virtù sociale, vantaggiosa per tutta la comunità: e quindi nella nascita di un giusto viene quasi anticipata una prova della vita futura e viene indicata la grazia della virtù che seguirà, prefigurata nella letizia dei vicini.
    Senso morale: i vicini sono figura degli angeli, parenti del giusto, i quali si rallegrano con l'anima che dà alla luce opere buone. Infatti Gabriele dice: «Molti si rallegreranno della sua nascita, poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti» (Lc 1,14-15). Sono proprio molti quelli che si rallegrano: infatti si rallegra Cristo, si rallegra l'angelo e si rallegra il prossimo. Si rallegra Cristo; dice Luca: «E trovata la pecora, se la carica sulle spalle tutto contento» (Lc 15,5). E la Glossa: Le spalle di Cristo sono le braccia della croce. Lì ha caricato i miei peccati, su quel patibolo ha riposato. Si rallegra l'angelo: «Io vi dico: c'è grande gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte» (Lc 15,10). E la Glossa: Gli angeli, esseri intelligenti, si rallegrano che l'uomo sia riconciliato anche con loro; e questo ci stimola all'onestà, ci stimola a fare ciò che è gradito a quegli spiriti, dei quali dobbiamo desiderare la protezione e temere l'offesa. Si rallegra il prossimo, a quanto dice l'Apostolo nella seconda lettera ai Corinzi: «Godo della vostra tristezza, perché essa vi ha portati alla penitenza» (2Cor 7,9).
    «Egli sarà grande». Osserva che il termine lat. magnus (grande) si riferisce all'animo, mentre se si dice grandis (grande) ci si riferisce al corpo. Se la tua opera è piccola ai tuoi occhi, sarà grande davanti al Signore. Egli deve crescere, io invece diminuire (cf. Gv 3,30). Quando tu ti fai piccolo con l'umiltà, cresce in te la grazia con la fortezza dell'animo.
    «Davanti al Signore», non davanti agli uomini, che ingannano e sono ingannati, che chiamano male il bene e bene il male. L'uomo è ciò che è davanti a Dio, e niente di più. Se vuoi che la tua opera buona sia consacrata a Dio, guàrdati dal bere il vino della vanagloria o altra bevanda inebriante che produce un'allegria sconveniente. Dice il Signore ad Aronne: «Non bevete vino o altra bevanda inebriante, né tu né i tuoi figli, quando dovete entrare nella tenda del convegno, perché non moriate» (Lv 10,9); e «Quando l'uomo o la donna faranno voto di santificarsi e vorranno consacrarsi al Signore, si asterranno dal vino e da tutto ciò che può ubriacare» (Nm 6,23).
    Chi desidera che la sua opera sia consacrata al Signore e venga accettata nella tenda della celeste Gerusalemme, si guardi dall'ebbrezza della vanagloria e da ogni indecorosa allegria. amen.
5. «E avvenne che all'ottavo giorno andarono a circoncidere il bambino» (Lc 1,59). Il primo giorno indica la conoscenza della propria fragilità; il secondo il ricordo della propria iniquità; il terzo l'amarezza della contrizione per i propri peccati; il quarto l'effusione delle lacrime; il quinto l'accusa di se stessi nella confessione; il sesto la supplica al Signore; il settimo l'elemosina al prossimo; l'ottavo l'espiazione dell'astinenza imposta a se stessi.
    In questo ottavo giorno viene circonciso il bambino, perché la pratica dell'astinenza circoncide realmente il cuore dal colpevole consenso, e il corpo dall'illecito piacere dei sensi. Infatti si dice astenersi, cioè tenersi lontano. Sta lontano colui che non acconsente a illeciti piaceri né del cuore né del corpo.
    Leggiamo nella Genesi che gli angeli dissero a Lot: «Non fermarti in questa regione, né all'intorno, ma mettiti in salvo sul monte, se non vuoi perire insieme con tutti gli altri» (Gn 19,17). «In questa regione» vuol dire il cuore e il corpo: non ci si deve fermare assolutamente né con gli atti, né con il consenso, indicato dalle parole «né all'intorno»; ma dobbiamo salvarci lontano, sul monte della pratica celeste, per non andare in rovina insieme con gli altri che vi restano dentro o se ne stanno all'intorno.
    «E volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria» (Lc 1,59). Dice la Glossa: Quelli che chiamano il bambino con il nome del padre, raffigurano coloro che, mentre il Signore proclama i nuovi doni della grazia, vorrebbero invece ch'egli predicasse ancora i soliti proclami dell'antico sacerdozio. Vogliono imporgli il nome del padre perché vogliono praticare la giustizia che viene dalla Legge, piuttosto che accogliere la grazia che viene dalla fede. La stessa cosa fanno oggi quei cattivi parenti e vicini che al figlio di un usuraio «vogliono imporre il nome del padre», vogliono cioè insegnargli a praticare la disonestà, la rapina e l'usura, proprio come suo padre.
    Ma sentiamo che cosa risponde la madre: «Niente affatto: si chiamerà Giovanni!» (Lc 1,60). Con lo Spirito di profezia viene a conoscenza di ciò che non aveva saputo dal marito: colei che aveva profetizzato Cristo non poteva ignorare il [nome del] precursore, che l'angelo aveva rivelato a Zaccaria (cf. Lc 1,13).
    Giovanni s'interpreta «grazia di Dio» perché fu il precursore della grazia, oppure anche «inizio del battesimo", con il quale la grazia viene infusa. L'anima fedele vuole che la sua opera si chiami «grazia», perché è la grazia che la compie, ed è per mezzo della grazia che desidera conservarla, dicendo con l'Apostolo: «Per grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana» (1Cor 15,10). Perciò Giovanni s'interpreta anche «colui nel quale è la grazia», per due motivi: perché la conservi, e perché da essa sia conservato, e così la grazia non sarà vana, cioè non sarà inoperosa. Il vaso, mentre conserva il vino, viene anche dal vino conservato, il vino cioè impedisce che il vaso marcisca. Osserva i precetti e i precetti conserveranno te (cf. Pro 7,2), cioè vivrai. Leggiamo infatti nell'Apocalisse: «Poiché hai osservato con costanza la mia parola, anch'io ti salverò nell'ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra» (Ap 3,10). Chi osserva la Parola con pazienza, con costanza, viene a sua volta conservato, perché nell'ora della tentazione non proferisca parole di insulto, ossia non acconsenta al peccato. O anche: l'ora della tentazione simboleggia il momento della morte, nel quale il diavolo mette in opera tutti i mezzi per tentare l'uomo e pervertire i suoi sentimenti, perché è in quel momento che lo conquista o lo perde definitivamente; e in quel momento lo tenta soprattutto per fargli perdere la fede e indurlo alla disperazione, perché non creda o non riceva i sacramenti della chiesa, e non speri più nella misericordia divina. Ma beato colui che in quel momento «sarà conservato»
6. «Le dissero: Non c'è nessuno nella tua parentela che si chiami con questo nome» (Lc 1,61). La parentela depravata e perversa raffigura gli appetiti carnali e gli impulsi irragionevoli dell'animo, tra i quali non ce n'è alcuno che si chiami «grazia»: si chiamano piuttosto concupiscenza e ostentazione. Né i demoni, né gli uomini perversi vogliono che l'opera nostra si chiami «grazia»: vogliono che si chiami piuttosto superbia, lussuria e avarizia. Leggiamo nel libro di Rut: «Dicono le donne», cioè i fiacchi e gli effeminati: «Quella è proprio Noemi! Ma essa rispondeva: Non chiamatemi Noemi, cioè bella; chiamatemi piuttosto Mara, cioè amara, perché l'Onnipotente mi ha ricolma di grande amarezza» (Rt 1,19-20). La chiamano bella, qualità che riguarda solo lo splendore della carnagione, e non amara, che è la qualità della penitenza, che consiste nell'amarezza del cuore, con la quale la grazia dell'Onnipotente riempie l'anima perché non si apra ad alcun piacere di amara dolcezza (fellita, amara come il fiele).
    «Allora domandarono con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse» (Lc 1,62). Dice qui la Glossa: «Quelli che con cenni interrogano il padre sul nome del bambino, raffigurano coloro che pretendono di assicurarsi la grazia della fede con la sola testimonianza della Legge. Poiché l'incredulità (alle parole dell'angelo) aveva tolto a Zaccaria la parola e l'udito, egli viene interrogato a cenni. Gabriele gli aveva detto: «Sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno» (Lc 1,20). Egli allora «chiese una tavoletta», e la cannuccia per scrivere (lat. pugillaris, che si può tenere in pugno), «e scrisse: Giovanni è il suo nome» (Lc 1,63), come per dire: Non siamo noi che imponiamo questo nome, perché lo ha già ricevuto da Dio. Ha il suo nome, che noi conosciamo, ma che non abbiamo scelto noi.
    «E tutti furono meravigliati» dell'accordo che c'era tra padre e madre. Si racconta nel libro di Daniele che da Dio fu mandato il dito della mano che scrisse sulla parete: Mene, Tekel, Peres. Parole che s'interpretano: Computò, pesò, divise (cf. Dn 5,24-28).
    La mano è così chiamata perché è come l'aiuto, la difesa (lat. munus) di tutto il corpo: essa infatti somministra il cibo alla bocca e presta tutti i servizi necessari. Nella mano è raffigurata la grazia dello Spirito Santo, che viene data come aiuto e difesa ai fedeli, i quali ne vengono sostentati e resi capaci di operare il bene. Questa mano scrive nel cuore dell'uomo quelle tre parole, perché egli còmputi, enumeri tutti i suoi peccati nella confessione, e poi li soppesi, li confronti con le opere penitenziali di riparazione, affinché una congrua penitenza corrisponda alla gravità della colpa; e da quest'ultima si divida, si separi assolutamente e così persèveri nella penitenza sino alla fine. Ecco la scrittura (il proclama) della grazia! E chi lo mette in pratica, «Giovanni è il suo nome». La grazia dello Spirito Santo impone e scrive il nome della grazia, affinché ogni nostra opera buona sia gradita e piena di grazia, e sia attribuita alla grazia di colui dal quale questo nome è stato donato.
    A lui sia sempre onore e gloria per i secoli eterni. Amen.
7. «Neftali è un cervo slanciato, che fa bellissimi discorsi» (Gn 49,21). Neftali s'interpreta «allargamento», o anche «mi allargò», ed è figura del beato Giovanni, che il Signore allargò con molte grazie, cioè rese ricco di grazia. Infatti gli dice: «Prima di formarti nel grembo materno, io ti conoscevo» (Ger 1,5). E Gabriele: «Zaccaria, non temere, perché la tua preghiera è stata esaudita. Tua moglie Elisabetta ti darà un figlio che chiamerai Giovanni» (Lc 1,13). E «prima che tu uscissi dal grembo, io ti ho santificato» (Ger 1,5). Infatti: «Elisabetta fu piena di Spirito Santo» (Lc 1,41), «e il bambino sussultò di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44). «E ti ho stabilito profeta tra le nazioni» (Ger 1,5). Infatti: «Chi siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, più che un profeta» (Mt 11,9).
    Giovanni è detto «cervo slanciato», cioè agile e veloce, che scavalca luoghi spinosi e scoscesi, perché incrementa la corsa con i salti. Così il beato Giovanni scavalcò rapidamente le ricchezze del mondo, raffigurate nelle spine, e i piaceri della carne, paragonati alle scabrosità del suolo. Infatti di lui si canta: «Fin dai più teneri anni - cioè a dodici anni - sei fuggito dalle folle degli uomini, e hai raggiunto le grotte del deserto» (Breviario Romano, Inno al mattutino). Luca racconta: «Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito», crebbe nella grazia dello Spirito Santo, «e visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele» (Lc 1,80). E Matteo: «Giovanni portava una veste di peli di cammello e una cintura di pelle intorno ai fianchi; locuste e miele selvatico erano il suo cibo» (Mt 3,4). E la Glossa commenta: «La rozzezza della veste e del cibo di Giovanni viene lodata; viene invece riprovata la pratica del ricco «che era vestito di porpora e bisso, e banchettava ogni giorno lautamente» (Lc 16,19).
    Se il beato Giovanni, santificato nel grembo materno, del quale, a testimonianza del Signore, uno più grande non sorse tra i nati di donna (cf. Mt 11,11), si tormentò con vesti così rozze e con cibo così vile, cosa possiamo dire noi miseri peccatori, concepiti nei peccati, pieni di vizi, che detestiamo ogni asprezza e cerchiamo delicatezze e comodità? Il Signore, come dice Isaia, «ci chiama al lamento e al pianto, a rasarci il capo e a vestirci di sacco. Ecco invece che si gode e si sta allegri; si sgozzano buoi e si scannano greggi, si mangia carne e si beve vino» (Is 22,12-13). Nel lamento è indicata la contrizione del cuore, nel pianto l'effusione delle lacrime, nella rasatura del capo la rinuncia alle cose terrene e nella veste di sacco la mortificazione del corpo. A tutto questo ci invita il beato Giovanni con l'esempio della sua vita e con la parola della sua predicazione; per questo è detto:
8. «Fa bellissimi discorsi». Disse infatti: «Fate penitenza perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 3,2); e di nuovo: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri» (Lc 3,4). Questi sono i discorsi bellissimi, perché la penitenza abbellisce l'anima; infatti è detto nel quarto libro dei Re che «il lebbroso Naaman scese nel Giordano e vi si lavò sette volte come gli aveva ordinato Eliseo, e la sua carne ridiventò come quella di un bimbo, e fu mondato dalla lebbra» (4Re 5,14). Così il peccatore, contaminato dalla lebbra del peccato, deve discendere, cioè umiliarsi, e lavarsi nel Giordano, cioè nel fiume del giudizio, della condanna di sé, con la penitenza bagnata dalle lacrime; lavarsi sette volte, vale a dire durante tutta la sua vita, che si svolge per così dire nel giro di sette giorni; o anche perché al peccatore si impone di solito una penitenza di sette anni - secondo la parola di Eliseo -, ossia di Giovanni Battista, che gridava: «Fate penitenza!». In questo modo l'anima del peccatore ritroverà la purezza dell'innocenza battesimale, che ha ricevuto da bambino, appunto nel battesimo.
    Osserva poi che il beato Giovanni è detto «voce». La voce è aria. La voce rende manifeste le intenzioni, la volontà dell'animo. Giovanni nulla ebbe di terreno, cioè di terrenità, ma fu, per così dire, tutto aereo, perché viveva nella familiarità delle cose celesti (cf. Fil 3,20). Oppure, è detto voce perché era molto gracile a motivo della sua rigorosa astinenza; egli annunciava la volontà di Cristo, il quale gridava nel deserto, cioè dal patibolo della croce: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito» (Lc 23,46).
    O anche: come la voce precede la parola, così egli precedette il Verbo (la Parola) di Dio. Dice Giobbe: «Forse che tu fai spuntare a suo tempo Lucifero?» (Gb 38,32). Come lucifero, la stella del mattino, annuncia il giorno, così il beato Giovanni ci ha annunciato Gesù Cristo, che è «il giorno» della vita eterna: «Colui che verrà dopo di me, è stato fatto prima di me» (Gv 1,15), cioè è superiore a me per dignità.
    Sia egli benedetto nei secoli. Amen.
9. «Neftali è un cervo slanciato». Leggiamo nel Deuteronomio: «Neftali godrà di grande abbondanza, sarà colmato di benedizioni dal Signore, possederà il mare e il meridione» (Dt 33,23). Neftali, che s'interpreta «convertito» o «esteso», è figura del penitente che, convertito dalla sua via di iniquità, si estende, si allarga alle opere buone.
    Leggiamo nella Genesi che il Signore disse a Giacobbe: «Ti estenderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno» (Gn 28,14). Nell'occidente sono simboleggiate le cose caduche di questo mondo, nell'oriente lo splendore eterno, nel settentrione, o aquilone, la suggestione diabolica e nel mezzogiorno la carità fraterna. Il penitente si estende a occidente, cioè alla cose caduche, per calpestarle; ad oriente, all'eterno splendore, per conquistarlo; a settentrione, alla suggestione diabolica per resisterle; a mezzogiorno, cioè alla carità fraterna, per amarla e praticarla. Fa' attenzione che mette per primo l'occidente e poi l'oriente, perché se uno prima di tutto non stende il suo piede per calpestare i beni temporali, non può certo stendere la sua mano per conquistare i beni celesti. Tramontino prima le cose del tempo, perché sorgano quelle dell'eternità.
    Questo Neftali gode dell'abbondanza della grazia in questa vita: «Le valli abbonderanno di frumento» (Sal 64,14), cioè gli spiriti umili abbonderanno dei doni della grazia; e sarà ricolmo della benedizione della gloria nella patria: «Venite, benedetti del Padre mio!» (Mt 25,34). Però nel frattempo, mentre è in questo mondo, deve prima possedere il mare, cioè l'amarezza della penitenza, e il mezzogiorno, quando il sole splende e riscalda, cioè la luce della sapienza per ciò che riguarda la contemplazione di Dio, e il calore per ciò che riguarda l'amore del prossimo.
    Quindi veramente «Neftali è un cervo slanciato».
10. Si legge nella Storia Naturale che il cervo impara a correre esercitandosi, e si abitua a scavalcare cespugli spinosi e larghe fosse. Quando avverte i latrati dei cani, dirige il suo cammino con il vento a favore per allontanare il suo odore; ha un udito finissimo quando tiene gli orecchi rizzati, ma se li abbassa non sente più nulla. Quando si sente male, mangia ramoscelli di olivo e così guarisce. Se viene colpito da indebolimento della vista, aspirando con le narici estrae dal nascondiglio della caverna un serpente, lo divora, e quando avverte il bruciore del suo veleno, corre ad una sorgente, e bevendo e tuffandosi in essa guarisce gli occhi e si libera di tutti gli umori superflui. Così il penitente, o anche il giusto, con la pratica della devozione e delle opere buone, migliora la sua condotta, per correre, senza stancarsi, nella giusta direzione, verso il premio della suprema chiamata. L'Apostolo dice a Timoteo: «Esèrcitati nella pietà» (1Tm 4,7).
    Si legge sempre nella Storia Naturale che le api volano un po' per l'aria come per fare esercizio, poi rientrano negli alveari e si cibano. Ecco la pietà. Le api sono figura del giusto che si esercita nell'aria, cioè nella contemplazione delle cose celesti. «L'uccello nasce per il volo» (Gb 5,7). «Volerò e mi riposerò» (Sal 54,7). Dopo questo esercizio rientra negli alveari, cioè nella propria coscienza, e lì si ciba nel gaudio e nella dolcezza dello spirito.
    Inoltre il penitente si abitua a saltare, perché l'abitudine è una seconda natura; si abitua a saltare i cespugli spinosi, cioè a disprezzare le ricchezze di questo mondo, e le larghe fosse, vale a dire i piaceri del corpo, e per questo è detto cervo slanciato. Nessuno diventa perfetto in un istante, e quindi ci dobbiamo abituare un po' alla volta a disprezzare le ricchezze e i piaceri. Un'abitudine si elimina con un'altra abitudine; e il filosofo dice: Scompariranno i vizi, se si prenderà l'abitudine di abbandonarli per qualche tempo. E ancora: La via più breve per giungere alla ricchezza è proprio il disprezzo della ricchezza. E infine: Sono un essere superiore e destinato a cose troppo grandi, perché io possa rimanere schiavo del mio corpo (Seneca).
    Così quando il penitente avverte il latrato dei cani, cioè le suggestioni dei demoni, orienta le sue opere nella direzione del vento. E questo significa che in tutte le sue opere deve farsi guidare interiormente ed esternamente dall'umiltà. Nel vento favorevole è simboleggiata l'umiltà, in quello contrario la superbia. Avevano il vento contrario, e quindi facevano molta fatica a remare (cf. Mc 6,48). Il vento favorevole è detto in lat. secundus, e suona quasi come secus pedes, presso i piedi. Maria [Maddalena], l'umile penitente, si pose dietro, presso i piedi del Signore e incominciò a bagnarglieli con le sue lacrime (cf. Lc 7,38). Oppure anche secundus, favorevole, viene da seguire, perché il penitente prende la sua croce e segue il Crocifisso. Colui dunque che dirige la sua vita in questo modo, con il vento a favore, il diavolo non potrà mai sorprenderlo con la sua astuzia e la sua malizia.
    «Con le orecchie rizzate ha un udito finissimo». Il salmo: «All'udirmi, subito mi obbedivano» (Sal 17,45). E Isaia: «Al mattino, al mattino rende attento il mio orecchio perché io lo ascolti come maestro. Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio; e io non resistito e non mi sono tirato indietro» (Is 50,4-5). Nell'orecchio - in lat. auris, da haurio, bevo, perché l'orecchio beve i suoni - è simboleggiata l'obbedienza, la quale se è attenta con l'umiltà e aperta con la disponibilità, berrà il suono, perché sentirà il maestro, cioè Cristo, o il superiore; non contraddirà le sue parole né si tirerà indietro davanti alla sua volontà. E fa' attenzione che per ben due volte dice «al mattino», per indicare che l'obbedienza dev'essere pronta e ilare. «Al mattino - dice la sposa - alziamoci per andare alle vigne» (Ct 7,12), cioè alle opere dell'obbedienza.
    Così pure il cervo, cioè il penitente, quando si accorge che sta per ammalarsi, che si sente indebolire e opprimere dalle tentazioni, mangia dei ramoscelli di olivo. L'olivo raffigura l'umanità di Cristo, dalla quale nel torchio della croce sgorgò come olio il suo sangue, con il quale risanò le piaghe del ferito. I ramoscelli di questo olivo sono i chiodi e la lancia, i flagelli e la corona di spine, e tutti gli altri strumenti della sua passione: se il penitente se ne nutre per mezzo della fede e della devozione, riceve nuovo vigore contro le tentazioni. Dice infatti Isaia: «Tu sei stato fortezza al povero, sostegno al bisognoso nella sua tribolazione, speranza nella tempesta e riparo d'ombra nella calura» (Is 25,4). Il vero penitente è povero nello spirito e bisognoso di tante cose: per lui Cristo, «obbediente fino alla morte» (Fil 2,8), è fortezza contro la prosperità del mondo perché non lo esalti; è fortezza contro le avversità del mondo perché non lo deprimano; è speranza nella tempesta della suggestione diabolica perché non lo travolga; è riparo d'ombra nell'ardore della concupiscenza carnale perché non lo incenerisca.
    Ancora, come il cervo anela alle sorgenti di acqua (cf. Sal 41,2), così il peccatore pentito anela alla sorgente della confessione. Quando avverte che la sua anima è colpita dalla cecità, perché è priva della grazia, con l'aspirazione delle narici, vale a dire con la contrizione, strappa ed estrae dall'oscura caverna della sua coscienza il serpente del peccato mortale. Si legge nel secondo libro dei Re: «Dalle sue narici saliva il fumo della sua ira» (2Re 22,9; Sal 17,9).
    Le narici del penitente simboleggiano l'acuta sensibilità che deve avere nel captare il profumo del paradiso e il fetore dell'inferno, e nello scoprire le astuzie del diavolo. Da queste narici deve salire il fumo, cioè il pentimento accompagnato dalle lacrime, e lo sdegno contro di sé, per imporsi la penitenza.
    In questo modo divora il serpente strappato dalla sua coscienza, perché nell'amarezza della sua anima ripensa attentamente e con ansia al peccato mortale e alle sue circostanze, e così si affretta alla sorgente della confessione dove, abbeverato dell'acqua delle lacrime e tuffato con l'umiltà nella fonte stessa della riconciliazione, depone finalmente tutto il superfluo e tutto ciò che nuoce alla sua anima, e così ringiovanisce.
11. «E fa discorsi bellissimi». Discorso si dice il lat. eloquium, discorso sciolto. Dice Luca: «Gli apostoli incominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi» (At 2,4), cioè di parlare con scioltezza.
    Discorsi bellissimi sono le parole della confessione, che il peccatore convertito deve proferire con scioltezza, non involutamente, e non con apatia e noncuranza. Dice infatti Marco: «Si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente» (Mc 7,35). E fa' attenzione che la confessione è detta bellissima, perché rende bella l'anima che era lebbrosa: «Confessione e bellezza al suo cospetto» (Sal 95,6). Questa è l'acqua del Giordano che monda la lebbra di Naaman, la sorgente della salvezza che elimina dal cervo la cecità e gli umori superflui, l'efficacia della confessione che rende bella l'anima, perché piaccia al suo sposo e possa giungere al suo amplesso.
    Ce lo conceda colui che è benedetto nei secoli. Amen.