TEMI DEL SERMONE
ESORDIO - AI PREDICATORI O AI PRELATI DELLA CHIESA
1. In quel tempo: «La parola del Signore scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto» (Lc 3,2).
Dice Isaia: «Sali su di un alto monte, tu che evangelizzi Sion; alza la tua voce con forza, tu che evangelizzi Gerusalemme» (Is 40,9). Vediamo quale significato morale abbiano il monte, Sion, e Gerusalemme.
Il monte, così chiamato in quanto immobile (mons, motum non habens), è figura della vita coerente del giusto, di cui parla Isaia: «Sarà come uomo che si ripara dal vento e si protegge dal turbine; come ruscelli d'acqua in tempo di sete, come l'ombra di una roccia sporgente in una terra deserta» (Is 32,2). Come dicesse: Il giusto, sicuro in mezzo alle tribolazioni, sarà come colui che fuggendo il vento e il turbine, si ripara in luogo sicuro, e come colui che nel deserto trova delle fonti limpidissime, come colui che si ripara dall'ardore del sole sotto una roccia sporgente. Il giusto si ripara dal vento della suggestione diabolica e si protegge dal turbine della prosperità mondana ed è irrigato da ruscelli di acqua, cioè della grazia, contro la sete dei desideri carnali, ed evita l'ardore del sole, cioè delle persecuzioni del mondo, riparandosi all'ombra della roccia sporgente, che è Cristo, il quale lo protegge nella tribolazione.
Quindi la vita del giusto è raffigurata nel monte. Al contrario, dice Isaia: «Il suo cuore», del re Acaz, «e il cuore del suo popolo si agitò, come si agitano nel vento gli alberi della foresta» (Is 7,2). E questo è ciò che dice Giobbe: «Il monte frana e cade, e il sasso scivola dal suo posto; le acque scavano le pietre e la terra a poco a poco viene travolta dall'inondazione» (Gb 14,18-19).
Vedi la storia di Giobbe nel sermone della domenica XIV dopo Pentecoste, III parte.
Quindi «tu, che evangelizzi Sion, sali su di un alto monte», che non cade e non frana. Dice Gregorio: Chi si dedica al celeste ufficio della predicazione, abbandonata ormai l'abiezione delle opere terrene, appare come situato al di sopra di tutto; e tanto più facilmente trascina i fedeli a diventar migliori, quanto più parla dall'alto con l'esempio della sua vita. Penetra più facilmente nel cuore degli ascoltatori quella voce che è accreditata dalla vita di colui che parla, perché ciò che egli comanda con la parola, aiuta a metterlo in pratica, dimostrandolo con l'esempio.
«Alza la tua voce con forza, tu che evangelizzi Gerusalemme». Sion, che era la parte più bassa della città, raffigura i secolari; Gerusalemme, che era la parte alta, raffigura i religiosi. Quando evangelizzi Sion, sali su di un alto monte, affinché essa salga con te dal basso verso l'alto. Si legge infatti nel secondo libro dei Re: «Davide saliva l'erta degli Ulivi; saliva piangendo e camminava con il capo coperto e a piedi nudi, mentre tutto il popolo che era con lui aveva il capo coperto e saliva piangendo» (2Re 15,30).
Davide raffigura il predicatore che, salendo l'erta degli Ulivi, tendendo cioè alla vita perfetta, illuminata e arricchita dall'olio della misericordia divina, deve compiere tre atti: piangere, coprirsi il capo, e camminare a piedi nudi. Piangere con Acsa (figlia di Caleb) per ottenere «la sorgente superiore e quella inferiore» (cf. Gs 15,19; Gdc 1,5); coprirsi il capo, e nel capo sono compresi tutti i sensi; camminare a piedi nudi delle vanità del mondo, spogliare cioè gli affetti della mente da ogni pelle morta di proprietà e di propria volontà. Se il predicatore salirà così, tutto il popolo salirà devotamente dietro a lui, con il capo coperto contro la vanità del mondo e piangendo i suoi peccati. Ma non si legge che il popolo camminasse a piedi nudi come Davide, perché ai secolari è lecito avere delle proprietà.
Parimenti, quando evangelizzi Gerusalemme, cioè i religiosi, alza la tua voce con forza, perché siano fortemente incoraggiati e esultino nel percorrere la via (cf. Sal 18,6) e nel conquistare la corona incorruttibile (cf. 1Cor 9,25). Dice Giobbe del cavallo, cioè del giusto: «Quando sente la tromba», cioè la predicazione che risuona con forza, «grida: Aah!... Scalpita coraggiosamente e con impeto va incontro agli armati; sprezza la paura e non retrocede davanti alla spada» (Gb 39,21-22. 25). Era salito su di un alto monte ed aveva alzato con forza la sua voce il più grande predicatore, il beato Giovanni Battista; di lui e della sua predicazione è detto nel vangelo di oggi: «La parola del Signore scese su Giovanni».
Dice Isaia: «Sali su di un alto monte, tu che evangelizzi Sion; alza la tua voce con forza, tu che evangelizzi Gerusalemme» (Is 40,9). Vediamo quale significato morale abbiano il monte, Sion, e Gerusalemme.
Il monte, così chiamato in quanto immobile (mons, motum non habens), è figura della vita coerente del giusto, di cui parla Isaia: «Sarà come uomo che si ripara dal vento e si protegge dal turbine; come ruscelli d'acqua in tempo di sete, come l'ombra di una roccia sporgente in una terra deserta» (Is 32,2). Come dicesse: Il giusto, sicuro in mezzo alle tribolazioni, sarà come colui che fuggendo il vento e il turbine, si ripara in luogo sicuro, e come colui che nel deserto trova delle fonti limpidissime, come colui che si ripara dall'ardore del sole sotto una roccia sporgente. Il giusto si ripara dal vento della suggestione diabolica e si protegge dal turbine della prosperità mondana ed è irrigato da ruscelli di acqua, cioè della grazia, contro la sete dei desideri carnali, ed evita l'ardore del sole, cioè delle persecuzioni del mondo, riparandosi all'ombra della roccia sporgente, che è Cristo, il quale lo protegge nella tribolazione.
Quindi la vita del giusto è raffigurata nel monte. Al contrario, dice Isaia: «Il suo cuore», del re Acaz, «e il cuore del suo popolo si agitò, come si agitano nel vento gli alberi della foresta» (Is 7,2). E questo è ciò che dice Giobbe: «Il monte frana e cade, e il sasso scivola dal suo posto; le acque scavano le pietre e la terra a poco a poco viene travolta dall'inondazione» (Gb 14,18-19).
Vedi la storia di Giobbe nel sermone della domenica XIV dopo Pentecoste, III parte.
Quindi «tu, che evangelizzi Sion, sali su di un alto monte», che non cade e non frana. Dice Gregorio: Chi si dedica al celeste ufficio della predicazione, abbandonata ormai l'abiezione delle opere terrene, appare come situato al di sopra di tutto; e tanto più facilmente trascina i fedeli a diventar migliori, quanto più parla dall'alto con l'esempio della sua vita. Penetra più facilmente nel cuore degli ascoltatori quella voce che è accreditata dalla vita di colui che parla, perché ciò che egli comanda con la parola, aiuta a metterlo in pratica, dimostrandolo con l'esempio.
«Alza la tua voce con forza, tu che evangelizzi Gerusalemme». Sion, che era la parte più bassa della città, raffigura i secolari; Gerusalemme, che era la parte alta, raffigura i religiosi. Quando evangelizzi Sion, sali su di un alto monte, affinché essa salga con te dal basso verso l'alto. Si legge infatti nel secondo libro dei Re: «Davide saliva l'erta degli Ulivi; saliva piangendo e camminava con il capo coperto e a piedi nudi, mentre tutto il popolo che era con lui aveva il capo coperto e saliva piangendo» (2Re 15,30).
Davide raffigura il predicatore che, salendo l'erta degli Ulivi, tendendo cioè alla vita perfetta, illuminata e arricchita dall'olio della misericordia divina, deve compiere tre atti: piangere, coprirsi il capo, e camminare a piedi nudi. Piangere con Acsa (figlia di Caleb) per ottenere «la sorgente superiore e quella inferiore» (cf. Gs 15,19; Gdc 1,5); coprirsi il capo, e nel capo sono compresi tutti i sensi; camminare a piedi nudi delle vanità del mondo, spogliare cioè gli affetti della mente da ogni pelle morta di proprietà e di propria volontà. Se il predicatore salirà così, tutto il popolo salirà devotamente dietro a lui, con il capo coperto contro la vanità del mondo e piangendo i suoi peccati. Ma non si legge che il popolo camminasse a piedi nudi come Davide, perché ai secolari è lecito avere delle proprietà.
Parimenti, quando evangelizzi Gerusalemme, cioè i religiosi, alza la tua voce con forza, perché siano fortemente incoraggiati e esultino nel percorrere la via (cf. Sal 18,6) e nel conquistare la corona incorruttibile (cf. 1Cor 9,25). Dice Giobbe del cavallo, cioè del giusto: «Quando sente la tromba», cioè la predicazione che risuona con forza, «grida: Aah!... Scalpita coraggiosamente e con impeto va incontro agli armati; sprezza la paura e non retrocede davanti alla spada» (Gb 39,21-22. 25). Era salito su di un alto monte ed aveva alzato con forza la sua voce il più grande predicatore, il beato Giovanni Battista; di lui e della sua predicazione è detto nel vangelo di oggi: «La parola del Signore scese su Giovanni».
2. In questo vangelo sono ricordate due cose: la sublimità della predicazione e la valle dell'umiltà. La prima quando dice: «La parola del Signore»; la seconda quando dice: «Ogni valle».
Nell'introito della messa si canta: «Ricordati di noi, o Signore». Si legge poi il brano della prima lettera ai Corinzi del beato Paolo apostolo: «Ognuno ci consideri come ministri di Cristo», ecc. Divideremo il brano in due parti e ne troveremo la concordanza con le due parti del brano evangelico. La prima: «Ognuno ci consideri come ministri». La seconda: «Non vogliate quindi giudicare nulla prima del tempo».
Nell'introito della messa si canta: «Ricordati di noi, o Signore». Si legge poi il brano della prima lettera ai Corinzi del beato Paolo apostolo: «Ognuno ci consideri come ministri di Cristo», ecc. Divideremo il brano in due parti e ne troveremo la concordanza con le due parti del brano evangelico. La prima: «Ognuno ci consideri come ministri». La seconda: «Non vogliate quindi giudicare nulla prima del tempo».
I. SUBLIMITÀ DELLA PREDICAZIONE
3. «La parola del Signore scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto». Giovanni è figura del prelato o anche del predicatore della santa chiesa, che dev'essere figlio di Zaccaria, nome che s'interpreta «ricordo del Signore», per aver sempre nella sua mente un memoriale: la passione di Gesù Cristo.
Dice Isaia: «Il tuo nome e il tuo memoriale sono nell'anelito della mia anima. L'anima mia anela a te di notte, e con il mio spirito e con il mio cuore ti cercherò al mattino» (Is 26,8-9). Dobbiamo desiderarlo nella notte dell'avversità e rivolgerci a lui nel mattino della prosperità, e avere sempre nella mente il memoriale della sua passione. Si legge nell'Esodo: «Sarà come un segno nella tua mano e come un ricordo davanti a tuoi occhi» (Es 13,9). E nel Deuteronomio: «Queste parole», cioè l'incarnazione e la passione, «siano fisse nel tuo cuore; le ripeterai ai tuoi figli, e le mediterai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te le legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio che si muove davanti agli occhi; e le scriverai sugli stipiti e sulle porte della tua casa» (Dt 6,6-9).
Se il prelato, o il predicatore, sarà figlio di Zaccaria, dicendo con il profeta: «Mi sono ricordato di Dio e ho avuto conforto» (Sal 76,4) nell'amarezza della sua passione, così da dire con la sposa del Cantico dei Cantici: «Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra che riposa tra le mie mammelle» (Ct 1,12), allora scenderà su di lui la parola del Signore, parola di vita e di pace, parola di grazia e di verità, parola che Isaia, figlio di Amos, vide sopra Giuda e Gerusalemme (cf. Is 1,1), cioè sopra l'anima fedele e che vive in pace con se stessa.
O Parola che non sferza, ma che inebria il cuore. O Parola dolce, che conforta il peccatore. O Parola di beata speranza! O Parola, fresca acqua per l'anima assetata, gradito messaggero che porta gradite notizie della patria lontana (cf. Pro 25,25). Qui c'è il «mormorio di una brezza leggera» (3Re 19,12), cioè l'ispirazione di Dio onnipotente, della quale Giobbe dice: «Certamente c'è nell'uomo lo spirito, e l'ispirazione della virtù dell'Onnipotente largisce l'intelligenza» (Gb 32,8). O quanto beato e veramente degno di essere chiamato Giovanni (dono di Dio), colui sul quale scese questa Parola! Ti scongiuro, o Signore, scenda sul tuo servo la tua Parola, e «secondo la tua Parola egli vada in pace» (Lc 2,29). «Lampada per i miei passi è la tua Parola!» (Sal 118,105).
Abbiamo sentito su chi è discesa la Parola. Ma in quale luogo è discesa? «Nel deserto». Dov'è il deserto, lì è la Parola; però è il deserto del quale parla il salmo: «In una terra deserta, inaccessibile e arida... « (Sal 62,3).
Vedi il sermone della domenica III di Quaresima, parte IV, sul vangelo: «Quando lo spirito immondo esce da un uomo».
Dice Isaia: «Il tuo nome e il tuo memoriale sono nell'anelito della mia anima. L'anima mia anela a te di notte, e con il mio spirito e con il mio cuore ti cercherò al mattino» (Is 26,8-9). Dobbiamo desiderarlo nella notte dell'avversità e rivolgerci a lui nel mattino della prosperità, e avere sempre nella mente il memoriale della sua passione. Si legge nell'Esodo: «Sarà come un segno nella tua mano e come un ricordo davanti a tuoi occhi» (Es 13,9). E nel Deuteronomio: «Queste parole», cioè l'incarnazione e la passione, «siano fisse nel tuo cuore; le ripeterai ai tuoi figli, e le mediterai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te le legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio che si muove davanti agli occhi; e le scriverai sugli stipiti e sulle porte della tua casa» (Dt 6,6-9).
Se il prelato, o il predicatore, sarà figlio di Zaccaria, dicendo con il profeta: «Mi sono ricordato di Dio e ho avuto conforto» (Sal 76,4) nell'amarezza della sua passione, così da dire con la sposa del Cantico dei Cantici: «Il mio diletto è per me un sacchetto di mirra che riposa tra le mie mammelle» (Ct 1,12), allora scenderà su di lui la parola del Signore, parola di vita e di pace, parola di grazia e di verità, parola che Isaia, figlio di Amos, vide sopra Giuda e Gerusalemme (cf. Is 1,1), cioè sopra l'anima fedele e che vive in pace con se stessa.
O Parola che non sferza, ma che inebria il cuore. O Parola dolce, che conforta il peccatore. O Parola di beata speranza! O Parola, fresca acqua per l'anima assetata, gradito messaggero che porta gradite notizie della patria lontana (cf. Pro 25,25). Qui c'è il «mormorio di una brezza leggera» (3Re 19,12), cioè l'ispirazione di Dio onnipotente, della quale Giobbe dice: «Certamente c'è nell'uomo lo spirito, e l'ispirazione della virtù dell'Onnipotente largisce l'intelligenza» (Gb 32,8). O quanto beato e veramente degno di essere chiamato Giovanni (dono di Dio), colui sul quale scese questa Parola! Ti scongiuro, o Signore, scenda sul tuo servo la tua Parola, e «secondo la tua Parola egli vada in pace» (Lc 2,29). «Lampada per i miei passi è la tua Parola!» (Sal 118,105).
Abbiamo sentito su chi è discesa la Parola. Ma in quale luogo è discesa? «Nel deserto». Dov'è il deserto, lì è la Parola; però è il deserto del quale parla il salmo: «In una terra deserta, inaccessibile e arida... « (Sal 62,3).
Vedi il sermone della domenica III di Quaresima, parte IV, sul vangelo: «Quando lo spirito immondo esce da un uomo».
4. «Ed egli percorse tutta la regione del Giordano» (Lc 3,3). Colui sul quale scende la divina ispirazione, senza dubbio percorre la regione del Giordano, nome che s'interpreta «umile discesa» e che simboleggia la compassione verso il prossimo. Il prelato, o il predicatore, deve scendere e mettersi al livello del prossimo, per poter rialzare chi giace a terra.
E con questo concorda Isaia, quando riporta le parole che il Signore rivolge ai predicatori: «Andate, messaggeri veloci, ad una gente strappata [dalla sua terra] e lacerata, ad un popolo terribile più di ogni altro, a un popolo che aspetta e che è oppresso, la cui terra è stata dispersa dai fiumi» (Is 18,2). In questa espressione vengono segnalati i sette vizi dai quali il genere umano è portato alla rovina.
«O messaggeri», cioè prelati e predicatori, «andate veloci» perché il ritardo provoca il pericolo, e perciò il Signore disse agli apostoli: «Per via non salutate nessuno» (Lc 10,4), affinché il cammino della vostra predicazione non trovi impedimenti; e nel quarto libro dei Re, Eliseo disse e Giezi: «Se t'imbatti in un uomo, non salutarlo; e se qualcuno ti saluta, non rispondergli» (4Re 4,29).
Andate dunque veloci ad una gente», che vive cioè da gentile, da pagana, «strappata» dalla radice dell'umiltà a causa dello spirito di superbia, per cui dice Giobbe: «Come una pianta sradicata mi toglie ogni speranza» (Gb 19,10); a una gente «lacerata» dall'invidia che lacera il cuore, di cui il profeta Nahum dice: «Guai a te, città di sangue, tutta menzogne e piena di lacerazioni!» (Na 3,1); andate «ad un popolo terribile» per l'ira, della quale Giobbe dice: «Il mio nemico mi ha fissato con occhi terribili» (Gb 16,10); ad un popolo «che aspetta» la ricompensa della vanagloria: «Hanno già ricevuto la loro ricompensa» (Mt 6,5); e Geremia: «Sedevi lungo le strade, aspettando gli uomini, come fa il brigante in luoghi disabitati; ad un popolo «oppresso» dall'avarizia (Ger 3,2); Isaia: «Sarà calpestato e oppresso come il fango nelle piazze» (Is 10,6), e Abacuc: «Guai a chi accumula ciò che non è suo! Fino a quando continuerà a caricarsi di denso fango?» (Ab 2,6); un popolo «la cui terra è stata dispersa dai fiumi», la cui intelligenza cioè è stata rovinata dalla gola e dalla lussuria; e di questo dice Ezechiele: «Eccomi a te, spaventoso dragone, che riposi in mezzo ai tuoi fiumi e dici: Mio è il fiume!» (Ez 29,3).
Da questa citazione appare chiaro quanto sia necessaria la predicazione, della quale appunto il vangelo dice: «Giovanni andava predicando un battesimo di penitenza (conversione) per il perdono dei peccati» (Lc 3,3). Lo stesso dice anche Isaia: «Lavatevi e siate mondi!» (Is 1,16); e più avanti: «Se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve; se fossero rossi come porpora, diventeranno come la lana bianca» (Is 1,18).
Su questo argomento vedi il primo sermone della domenica II di Quaresima sul vangelo: «Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni», ecc. , seconda parte.
Il Signore dice ancora per bocca di Isaia: «Ho disperso come una nuvola le tue iniquità e come la nebbia i tuoi peccati; ritorna a me» facendo penitenza, «poiché io ti ho redento» (Is 44,22) con il mio sangue. E ancora: «Consòlati, consòlati, o mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua afflizione e la sua iniquità è perdonata. Essa ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio castigo per tutti i suoi peccati» (Is 40,1-2).
Commenta la Glossa: Il motivo della consolazione è la remissione dei peccati; il motivo della remissione è il fatto di aver ricevuto il doppio castigo. C'è da osservare che i nostri peccati non solvuntur, non sono pagati, espiati, se non abbiamo ricevuto i castighi dalla mano di Dio. E non è la stessa cosa solvi peccata, peccati espiati, e peccata remitti, peccati rimessi, perdonati; a chi vengono rimessi, perdonati, non è necessaria l'espiazione. Infatti è detto: «Ti sono rimessi, perdonati, i tuoi peccati». Quando invece solvuntur, cioè sono pagati, questo avviene perché sono stati espiati e cancellati per mezzo dei castighi inflitti da Dio.
E con questo concorda Isaia, quando riporta le parole che il Signore rivolge ai predicatori: «Andate, messaggeri veloci, ad una gente strappata [dalla sua terra] e lacerata, ad un popolo terribile più di ogni altro, a un popolo che aspetta e che è oppresso, la cui terra è stata dispersa dai fiumi» (Is 18,2). In questa espressione vengono segnalati i sette vizi dai quali il genere umano è portato alla rovina.
«O messaggeri», cioè prelati e predicatori, «andate veloci» perché il ritardo provoca il pericolo, e perciò il Signore disse agli apostoli: «Per via non salutate nessuno» (Lc 10,4), affinché il cammino della vostra predicazione non trovi impedimenti; e nel quarto libro dei Re, Eliseo disse e Giezi: «Se t'imbatti in un uomo, non salutarlo; e se qualcuno ti saluta, non rispondergli» (4Re 4,29).
Andate dunque veloci ad una gente», che vive cioè da gentile, da pagana, «strappata» dalla radice dell'umiltà a causa dello spirito di superbia, per cui dice Giobbe: «Come una pianta sradicata mi toglie ogni speranza» (Gb 19,10); a una gente «lacerata» dall'invidia che lacera il cuore, di cui il profeta Nahum dice: «Guai a te, città di sangue, tutta menzogne e piena di lacerazioni!» (Na 3,1); andate «ad un popolo terribile» per l'ira, della quale Giobbe dice: «Il mio nemico mi ha fissato con occhi terribili» (Gb 16,10); ad un popolo «che aspetta» la ricompensa della vanagloria: «Hanno già ricevuto la loro ricompensa» (Mt 6,5); e Geremia: «Sedevi lungo le strade, aspettando gli uomini, come fa il brigante in luoghi disabitati; ad un popolo «oppresso» dall'avarizia (Ger 3,2); Isaia: «Sarà calpestato e oppresso come il fango nelle piazze» (Is 10,6), e Abacuc: «Guai a chi accumula ciò che non è suo! Fino a quando continuerà a caricarsi di denso fango?» (Ab 2,6); un popolo «la cui terra è stata dispersa dai fiumi», la cui intelligenza cioè è stata rovinata dalla gola e dalla lussuria; e di questo dice Ezechiele: «Eccomi a te, spaventoso dragone, che riposi in mezzo ai tuoi fiumi e dici: Mio è il fiume!» (Ez 29,3).
Da questa citazione appare chiaro quanto sia necessaria la predicazione, della quale appunto il vangelo dice: «Giovanni andava predicando un battesimo di penitenza (conversione) per il perdono dei peccati» (Lc 3,3). Lo stesso dice anche Isaia: «Lavatevi e siate mondi!» (Is 1,16); e più avanti: «Se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve; se fossero rossi come porpora, diventeranno come la lana bianca» (Is 1,18).
Su questo argomento vedi il primo sermone della domenica II di Quaresima sul vangelo: «Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni», ecc. , seconda parte.
Il Signore dice ancora per bocca di Isaia: «Ho disperso come una nuvola le tue iniquità e come la nebbia i tuoi peccati; ritorna a me» facendo penitenza, «poiché io ti ho redento» (Is 44,22) con il mio sangue. E ancora: «Consòlati, consòlati, o mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua afflizione e la sua iniquità è perdonata. Essa ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio castigo per tutti i suoi peccati» (Is 40,1-2).
Commenta la Glossa: Il motivo della consolazione è la remissione dei peccati; il motivo della remissione è il fatto di aver ricevuto il doppio castigo. C'è da osservare che i nostri peccati non solvuntur, non sono pagati, espiati, se non abbiamo ricevuto i castighi dalla mano di Dio. E non è la stessa cosa solvi peccata, peccati espiati, e peccata remitti, peccati rimessi, perdonati; a chi vengono rimessi, perdonati, non è necessaria l'espiazione. Infatti è detto: «Ti sono rimessi, perdonati, i tuoi peccati». Quando invece solvuntur, cioè sono pagati, questo avviene perché sono stati espiati e cancellati per mezzo dei castighi inflitti da Dio.
5. «Come è scritto nel libro dei sermoni del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto» (Lc 3,4). Fa' attenzione a queste tre parole: Voce, di uno che grida, e nel deserto. Quale è la voce, chi è che grida e cos'è il deserto? La voce è il predicatore, colui che grida è Cristo, e il deserto è la sua croce.
La voce è aria, e il predicatore dev'essere aereo, cioè celeste, affinché la sua familiarità sia con il cielo. Si legge infatti nell'Esodo che «sotto i piedi del Signore c'era come un'opera di pietra di zaffiro, simile al cielo quand'è sereno» (Es 24,10). Lo zaffiro è color dell'aria; l'opera di pietra di zaffiro è la vita del predicatore santo, che con l'umiltà della sua mente è prostrato ai piedi dell'incarnazione del Signore, ed è come sospeso nell'aria nella contemplazione della celeste beatitudine.
Dice Isaia: «Chi sono costoro che volano come le nubi, e come colombe verso le loro colombaie?» (Is 60,8). I predicatori santi sono paragonati alle nubi, perché sono leggeri, sono cioè liberi dalle cose terrene: fanno piovere parole, fanno rintronare minacce, illuminano con gli esempi e volano in cielo con le ali delle virtù. E semplici come le colombe, stanno alle finestre e custodiscono i cinque sensi del loro corpo affinché la morte non entri nella casa della loro coscienza.
O Signore, se io sentissi una tale voce, griderei come Adamo: «Ho sentito la tua voce ed ho avuto paura!» (Gn 3,10). Tale voce non è di uomo, ma quasi voce di Dio l'Altissimo. «Risuoni, dunque, la tua voce ai miei orecchi: la tua voce è dolce» (Ct 2,14). A questa voce «hanno tremato le mie labbra» (Ab 3,16). «La voce del tuo tuono nel turbine» (Sal 76,19).
Ma ahimè! Non sento la voce, ma un sussurro e un brontolio, per cui dice Isaia: «Parlerai dalla terra; dal terreno si udrà il tuo responso; la tua voce sarà come quella della pitonessa, voce che esce dalla terra; e il tuo responso come un sussurro che esce dal terreno» (Is 29,4).
Vedi il sermone della domenica II dopo Pentecoste, seconda parte: «Un uomo diede una grande cena».
Questo sussurro non è di Cristo che grida: egli ci ha detto cose celesti e non cose terrene, e, come dice Isaia, «gridò come un leone» (Is 21,8).
Ma dove? «Nel deserto». Il deserto fu la sua croce, nella quale fu abbandonato, nudo e coronato di spine: lì ha gridato. Dice infatti il profeta Amos: «Moab morirà con grande strepito, al suono di tromba» (Am 2,2). Moab è il diavolo che perì al suono della tromba, cioè al suono della predicazione del Signore, e al suono della sua voce, quando sulla croce gridò: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito» (Lc 23,46; cf. Sal 30,6).
Dice ancora Isaia: «Ecco che il dominatore, il Signore degli eserciti, spezzerà il vaso con il terrore; e gli alti di statura saranno tagliati, e i grandi saranno umiliati; e le selve delle valli saranno devastate con il ferro, e il Libano cadrà con i suoi alti cedri» (Is 10,33-34).
Il vaso è l'umanità di Cristo, formato da terra vergine, e spezzato nella Passione: e questo incutendo terrore ai demoni i quali, alti di statura, sono stati come tagliati dalla sua potenza; e i grandi, cioè i superbi giudei, sono stati umiliati, cioè rifiutati, nella rivendicazione operata dalla passione di Cristo. E le selve delle valli, cioè la Gerusalemme terrestre, chiamata così per la moltitudine della sua popolazione, fu devastata con il ferro da Tito e Vespasiano; e il Libano, cioè il tempio, crollò insieme con gli alti cedri, cioè con i suoi sacerdoti.
La voce è aria, e il predicatore dev'essere aereo, cioè celeste, affinché la sua familiarità sia con il cielo. Si legge infatti nell'Esodo che «sotto i piedi del Signore c'era come un'opera di pietra di zaffiro, simile al cielo quand'è sereno» (Es 24,10). Lo zaffiro è color dell'aria; l'opera di pietra di zaffiro è la vita del predicatore santo, che con l'umiltà della sua mente è prostrato ai piedi dell'incarnazione del Signore, ed è come sospeso nell'aria nella contemplazione della celeste beatitudine.
Dice Isaia: «Chi sono costoro che volano come le nubi, e come colombe verso le loro colombaie?» (Is 60,8). I predicatori santi sono paragonati alle nubi, perché sono leggeri, sono cioè liberi dalle cose terrene: fanno piovere parole, fanno rintronare minacce, illuminano con gli esempi e volano in cielo con le ali delle virtù. E semplici come le colombe, stanno alle finestre e custodiscono i cinque sensi del loro corpo affinché la morte non entri nella casa della loro coscienza.
O Signore, se io sentissi una tale voce, griderei come Adamo: «Ho sentito la tua voce ed ho avuto paura!» (Gn 3,10). Tale voce non è di uomo, ma quasi voce di Dio l'Altissimo. «Risuoni, dunque, la tua voce ai miei orecchi: la tua voce è dolce» (Ct 2,14). A questa voce «hanno tremato le mie labbra» (Ab 3,16). «La voce del tuo tuono nel turbine» (Sal 76,19).
Ma ahimè! Non sento la voce, ma un sussurro e un brontolio, per cui dice Isaia: «Parlerai dalla terra; dal terreno si udrà il tuo responso; la tua voce sarà come quella della pitonessa, voce che esce dalla terra; e il tuo responso come un sussurro che esce dal terreno» (Is 29,4).
Vedi il sermone della domenica II dopo Pentecoste, seconda parte: «Un uomo diede una grande cena».
Questo sussurro non è di Cristo che grida: egli ci ha detto cose celesti e non cose terrene, e, come dice Isaia, «gridò come un leone» (Is 21,8).
Ma dove? «Nel deserto». Il deserto fu la sua croce, nella quale fu abbandonato, nudo e coronato di spine: lì ha gridato. Dice infatti il profeta Amos: «Moab morirà con grande strepito, al suono di tromba» (Am 2,2). Moab è il diavolo che perì al suono della tromba, cioè al suono della predicazione del Signore, e al suono della sua voce, quando sulla croce gridò: «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito» (Lc 23,46; cf. Sal 30,6).
Dice ancora Isaia: «Ecco che il dominatore, il Signore degli eserciti, spezzerà il vaso con il terrore; e gli alti di statura saranno tagliati, e i grandi saranno umiliati; e le selve delle valli saranno devastate con il ferro, e il Libano cadrà con i suoi alti cedri» (Is 10,33-34).
Il vaso è l'umanità di Cristo, formato da terra vergine, e spezzato nella Passione: e questo incutendo terrore ai demoni i quali, alti di statura, sono stati come tagliati dalla sua potenza; e i grandi, cioè i superbi giudei, sono stati umiliati, cioè rifiutati, nella rivendicazione operata dalla passione di Cristo. E le selve delle valli, cioè la Gerusalemme terrestre, chiamata così per la moltitudine della sua popolazione, fu devastata con il ferro da Tito e Vespasiano; e il Libano, cioè il tempio, crollò insieme con gli alti cedri, cioè con i suoi sacerdoti.
6. «Preparate la via del Signore» (Lc 3,4). Dice Isaia: «Nel primo tempo fu un po' alleviata la terra di Zabulon e la terra di Neftali; nell'ultimo tempo fu oppressa la via del mare» (Is 9,1). Questo è una specie di «triduo» del quale Mosè dice: Ci inoltreremo nel deserto con un cammino di tre giorni e offriremo un sacrificio al Signore, nostro Dio (cf. Es 3,18).
«Nel primo tempo», cioè nel momento dell'infusione della grazia che all'inizio ha prevenuto il peccatore, «la terra», cioè la sua mente, «è alleviata» dal peso del peccato per mezzo della contrizione: e allora è «terra di Zabulon» (primo giorno), che significa «abitazione della forza». Infatti la grazia corrobora con la forza della costanza colui nel quale essa abita. Dice Isaia: «Colui che dà la forza a chi è stanco e moltiplica la forza e l'energia a coloro che sono venuti meno» (Is 40,29). «È alleviata» anche nella confessione, quando dichiara il peccato e le sue circostanze; e allora è «terra di Neftali, che significa «espansione». La mente del peccatore si espande nella confessione, come disse il Signore ad Giacobbe: «Ti espanderai a oriente e ad occidente, a settentrione e a meridione» (Gn 28,14).
Osserva che nella confessione il sacerdote deve esigere dal peccatore quattro promesse: di dolersi e di fare penitenza dei peccati commessi e dei peccati di omissione; di essere disposto ad eseguire la penitenza che egli gli imporrà; di avere il fermo proposito di non più commettere peccati mortali in futuro; di essere pronto a riparare al male fatto al prossimo, a perdonare e ad amarlo. Solo se è disposto a fare e mantenere queste quattro promesse, può imporgli la penitenza ed assolverlo, altrimenti no.
Quando dunque esprime il suo dolore e si pente, il peccatore si espande ad oriente, perché viene illuminato dal sole della giustizia. Quando è disposto ad obbedire alla volontà e alla voce del sacerdote, allora si espande ad occidente: cade (lat. occidit) infatti da se stesso (dalla sua superbia) quando si sottomette ad un altro. Quando ha il fermo proposito di non ricadere, allora si espande a settentrione o aquilone, in cui è simboleggiata la tentazione del diavolo: si dilata ad aquilone colui che combatte contro il diavolo che tenta di assalirlo; il nemico che combatte validamente, fa sì che anche tu combatta valorosamente (Ovidio). Quando infine il peccatore promette di amare il prossimo, allora si espande a meridione, in cui è simboleggiato l'ardore della carità.
Se il peccatore farà questi due giorni di cammino, sarà in grado di fare anche il terzo, indicato dalle parole: «Nell'ultimo tempo fu oppressa», cioè profondamente contristata, «la via del mare» (Is 9,1). La via del mare è l'esecuzione della penitenza che è veramente amara. «Amara sarà la bevanda per chi la beve» (Is 24,9). Quindi, con la contrizione e con la confessione l'anima si sente come sollevata, ma nel fare la penitenza la carne viene sottoposta a grave sofferenza. Dice Gregorio: È necessario che la carne, dopo essere andata alla colpa godendo, ritorni al perdono soffrendo.
Questa è la via per la quale il Signore giunge all'anima. Beato colui che la prepara in questo modo. «Il mio cuore, o Dio, è pronto. Pronto è il mio cuore!» (Sal 56,8).
«Nel primo tempo», cioè nel momento dell'infusione della grazia che all'inizio ha prevenuto il peccatore, «la terra», cioè la sua mente, «è alleviata» dal peso del peccato per mezzo della contrizione: e allora è «terra di Zabulon» (primo giorno), che significa «abitazione della forza». Infatti la grazia corrobora con la forza della costanza colui nel quale essa abita. Dice Isaia: «Colui che dà la forza a chi è stanco e moltiplica la forza e l'energia a coloro che sono venuti meno» (Is 40,29). «È alleviata» anche nella confessione, quando dichiara il peccato e le sue circostanze; e allora è «terra di Neftali, che significa «espansione». La mente del peccatore si espande nella confessione, come disse il Signore ad Giacobbe: «Ti espanderai a oriente e ad occidente, a settentrione e a meridione» (Gn 28,14).
Osserva che nella confessione il sacerdote deve esigere dal peccatore quattro promesse: di dolersi e di fare penitenza dei peccati commessi e dei peccati di omissione; di essere disposto ad eseguire la penitenza che egli gli imporrà; di avere il fermo proposito di non più commettere peccati mortali in futuro; di essere pronto a riparare al male fatto al prossimo, a perdonare e ad amarlo. Solo se è disposto a fare e mantenere queste quattro promesse, può imporgli la penitenza ed assolverlo, altrimenti no.
Quando dunque esprime il suo dolore e si pente, il peccatore si espande ad oriente, perché viene illuminato dal sole della giustizia. Quando è disposto ad obbedire alla volontà e alla voce del sacerdote, allora si espande ad occidente: cade (lat. occidit) infatti da se stesso (dalla sua superbia) quando si sottomette ad un altro. Quando ha il fermo proposito di non ricadere, allora si espande a settentrione o aquilone, in cui è simboleggiata la tentazione del diavolo: si dilata ad aquilone colui che combatte contro il diavolo che tenta di assalirlo; il nemico che combatte validamente, fa sì che anche tu combatta valorosamente (Ovidio). Quando infine il peccatore promette di amare il prossimo, allora si espande a meridione, in cui è simboleggiato l'ardore della carità.
Se il peccatore farà questi due giorni di cammino, sarà in grado di fare anche il terzo, indicato dalle parole: «Nell'ultimo tempo fu oppressa», cioè profondamente contristata, «la via del mare» (Is 9,1). La via del mare è l'esecuzione della penitenza che è veramente amara. «Amara sarà la bevanda per chi la beve» (Is 24,9). Quindi, con la contrizione e con la confessione l'anima si sente come sollevata, ma nel fare la penitenza la carne viene sottoposta a grave sofferenza. Dice Gregorio: È necessario che la carne, dopo essere andata alla colpa godendo, ritorni al perdono soffrendo.
Questa è la via per la quale il Signore giunge all'anima. Beato colui che la prepara in questo modo. «Il mio cuore, o Dio, è pronto. Pronto è il mio cuore!» (Sal 56,8).
7. «Raddrizzate i sentieri del nostro Dio» (Lc 3,4). Dice Isaia: «La via del giusto è diritta, retto il sentiero per il quale il giusto cammina» (Is 26,7). Il sentiero è detto in lat. sèmita, come a dire metà cammino (lat. semis iter).
È un sentiero ogni religione, cioè ogni ordine religioso, che si è come delimitato e ristretto con i voti di povertà, di castità e di obbedienza. Dice Isaia: «È stato ristretto il letto, perché un altro ne cada; e la coperta troppo corta non può coprirne due» (Is 28,20).
Il letto è sempre la religione, che se è bene stretta (severa), come il sentiero, può accogliere soltanto lo sposo della castità e lo spirito di obbedienza, e scaccerà l'adultero e il fornicatore e il vizio della disobbedienza. E la coperta troppo corta della povertà non sarà in grado di coprire due persone, cioè colui che vuole possedere e il povero nello spirito. «Quale intesa ci può essere tra Cristo e Beliar?» (2Cor 6,15); quale intesa tra il povero e il possidente, che è come Beliar in mezzo ai figli di Dio? O religiosi, «raddrizzate dunque i sentieri del nostro Dio!».
È un sentiero ogni religione, cioè ogni ordine religioso, che si è come delimitato e ristretto con i voti di povertà, di castità e di obbedienza. Dice Isaia: «È stato ristretto il letto, perché un altro ne cada; e la coperta troppo corta non può coprirne due» (Is 28,20).
Il letto è sempre la religione, che se è bene stretta (severa), come il sentiero, può accogliere soltanto lo sposo della castità e lo spirito di obbedienza, e scaccerà l'adultero e il fornicatore e il vizio della disobbedienza. E la coperta troppo corta della povertà non sarà in grado di coprire due persone, cioè colui che vuole possedere e il povero nello spirito. «Quale intesa ci può essere tra Cristo e Beliar?» (2Cor 6,15); quale intesa tra il povero e il possidente, che è come Beliar in mezzo ai figli di Dio? O religiosi, «raddrizzate dunque i sentieri del nostro Dio!».
8. Con questa prima parte del vangelo concorda la prima parte dell'epistola: «Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio» (1Cor 4,1). E Isaia: «Voi sarete chiamati sacerdoti di Dio, ministri del Dio nostro» (Is 61,6). Ministri e amministratori sono i prelati e i predicatori, che amministrano la parola di Dio e predicano il battesimo di penitenza per la remissione dei peccati. Di essi dice sempre Isaia: «Quanto sono belli», cioè mondi dalla polvere del peccato, «sui monti», cioè con le virtù, «i piedi del messaggero che annunzia la pace», cioè la riconciliazione tra il peccatore e Dio, «che annunzia il bene», cioè l'infusione della grazia; «che predica la salvezza», cioè la vita eterna, «e che dice: O Sion», o anima, «regnerà» in te «il tuo Dio» (Is 52,7), e non il peccato.
«Ora, questo si richiede agli amministratori, che ognuno sia trovato fedele» (1Cor 4,2). Dell'amministratore fedele il Signore, per bocca di Isaia, dice: «In quel giorno chiamerò il mio servo Eliakim, figlio di Chelkia e lo rivestirò con la tua tunica, lo cingerò della tua cintura e metterò il tuo potere nelle sue mani: sarà come un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per la casa di Giuda» (Is 22,20-21).
Eliakim s'interpreta «risurrezione di Dio», ed è figura del fedele amministratore della chiesa, per mezzo del quale Dio risuscita alla penitenza il peccatore. Egli è figlio di Chelkia, cioè della giustizia: rivestito della tunica della misericordia e sostenuto dalla cintura della continenza, è come un padre per tutti i fedeli della chiesa.
Dove si può trovare oggi un amministratore così fedele? Ahimè! «O città» una volta «fedele, e piena di rettitudine, come hai potuto trasformarti in prostituta? La giustizia dimorava in essa, ora invece è piena di assassini. Il tuo argento si è cambiato in scoria, il tuo vino si è mescolato con l'acqua. I tuoi capi sono infedeli, complici di ladri: tutti sono bramosi di regali, ricercano mance, non rendono giustizia all'orfano e la causa della vedova fino a loro non giunge» (Is 1,21-23).
L'argento, vale a dire l'eloquenza dei prelati e dei predicatori si è cambiata nella scoria della vanagloria. Il vino della predicazione si è mescolato con l'acqua dell'adulazione e del lucro temporale. Le altre parole non hanno bisogno di spiegazione, tanto sono chiare agli occhi di tutti.
Fratelli carissimi, preghiamo il Signore Gesù Cristo, che faccia scendere su di noi la parola da lui stesso ispirata; che ci purifichi con il battesimo di penitenza, per mezzo del quale diveniamo capaci di preparargli la via e di raddrizzare i suoi sentieri.
Ce lo conceda lui stesso, che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.
«Ora, questo si richiede agli amministratori, che ognuno sia trovato fedele» (1Cor 4,2). Dell'amministratore fedele il Signore, per bocca di Isaia, dice: «In quel giorno chiamerò il mio servo Eliakim, figlio di Chelkia e lo rivestirò con la tua tunica, lo cingerò della tua cintura e metterò il tuo potere nelle sue mani: sarà come un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per la casa di Giuda» (Is 22,20-21).
Eliakim s'interpreta «risurrezione di Dio», ed è figura del fedele amministratore della chiesa, per mezzo del quale Dio risuscita alla penitenza il peccatore. Egli è figlio di Chelkia, cioè della giustizia: rivestito della tunica della misericordia e sostenuto dalla cintura della continenza, è come un padre per tutti i fedeli della chiesa.
Dove si può trovare oggi un amministratore così fedele? Ahimè! «O città» una volta «fedele, e piena di rettitudine, come hai potuto trasformarti in prostituta? La giustizia dimorava in essa, ora invece è piena di assassini. Il tuo argento si è cambiato in scoria, il tuo vino si è mescolato con l'acqua. I tuoi capi sono infedeli, complici di ladri: tutti sono bramosi di regali, ricercano mance, non rendono giustizia all'orfano e la causa della vedova fino a loro non giunge» (Is 1,21-23).
L'argento, vale a dire l'eloquenza dei prelati e dei predicatori si è cambiata nella scoria della vanagloria. Il vino della predicazione si è mescolato con l'acqua dell'adulazione e del lucro temporale. Le altre parole non hanno bisogno di spiegazione, tanto sono chiare agli occhi di tutti.
Fratelli carissimi, preghiamo il Signore Gesù Cristo, che faccia scendere su di noi la parola da lui stesso ispirata; che ci purifichi con il battesimo di penitenza, per mezzo del quale diveniamo capaci di preparargli la via e di raddrizzare i suoi sentieri.
Ce lo conceda lui stesso, che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.
II. LA VALLE DELL'UMILTÀ
9. «Ogni valle sarà colmata» (Lc 3,5). E questo è ciò che dice il Signore: «A chi guarderò se non al poverello e a chi ha lo spirito contrito e che trema al suono delle mie parole?» (Is 66,2). La valle raffigura l'umiltà della mente, di cui dice Geremia: «Guarda i tuoi passi là nella valle» (Ger 2,23), cioè riconosci i tuoi peccati con una doppia umiltà. L'umiltà mostra all'uomo se stesso. Dice Isaia: «Il Signore sarà conosciuto dall'Egitto e in quel giorno gli Egiziani conosceranno il Signore» (Is 19,21).
In quel giorno, cioè nella luce dell'umiltà, gli Egiziani, cioè i superbi avvolti di tenebre, conoscono il Signore e viceversa: e così conoscono anche se stessi. Dice Agostino: «Concedimi, Signore, di conoscere te e di conoscere me». E anche Isaia, dopo aver visto il Signore, rimprovera se stesso dicendo: «Guai a me, che ho taciuto, perché io sono uomo dalle labbra immonde» (Is 6,5). E il Signore dice a Ezechiele: «Figlio dell'uomo, mostra il tempio alla casa d'Israele», cioè mostrale Gesù Cristo, «e si vergognino delle loro iniquità» (Ez 43,10).
Dunque «ogni valle sarà riempita» con quel grano di frumento che caduto nella terra morì (cf. Gv 12,24) e di cui il salmo dice: «Le valli abbonderanno di frumento» (Sal 64,14). La beata Maria, essendo una valle, fu colmata, e dalla sua pienezza noi tutti, vuoti, abbiamo ricevuto (cf. Gv 1,16), e il salmo: Saremo riempiti dall'abbondanza della tua casa (cf. Sal 35,9; 64,5). Solo gli umili saranno riempiti da quell'abbondanza che il Signore promette nel Levitico: «Vi darò le piogge al tempo giusto, e la terra produrrà i suoi germogli e gli alberi si caricheranno di frutti» (Lv 26,3-4). Il Signore dà le piogge quando infonde la grazia della compunzione. E Isaia: «Cadrà la pioggia sulla tua semente, ovunque tu abbia seminato sulla terra» (Is 30,23), ed essa produrrà i suoi germogli. Dalla pioggia della compunzione nascerà il germoglio della buona volontà, e così gli alberi, cioè i sensi del corpo, saranno pieni dei frutti delle buone opere.
In quel giorno, cioè nella luce dell'umiltà, gli Egiziani, cioè i superbi avvolti di tenebre, conoscono il Signore e viceversa: e così conoscono anche se stessi. Dice Agostino: «Concedimi, Signore, di conoscere te e di conoscere me». E anche Isaia, dopo aver visto il Signore, rimprovera se stesso dicendo: «Guai a me, che ho taciuto, perché io sono uomo dalle labbra immonde» (Is 6,5). E il Signore dice a Ezechiele: «Figlio dell'uomo, mostra il tempio alla casa d'Israele», cioè mostrale Gesù Cristo, «e si vergognino delle loro iniquità» (Ez 43,10).
Dunque «ogni valle sarà riempita» con quel grano di frumento che caduto nella terra morì (cf. Gv 12,24) e di cui il salmo dice: «Le valli abbonderanno di frumento» (Sal 64,14). La beata Maria, essendo una valle, fu colmata, e dalla sua pienezza noi tutti, vuoti, abbiamo ricevuto (cf. Gv 1,16), e il salmo: Saremo riempiti dall'abbondanza della tua casa (cf. Sal 35,9; 64,5). Solo gli umili saranno riempiti da quell'abbondanza che il Signore promette nel Levitico: «Vi darò le piogge al tempo giusto, e la terra produrrà i suoi germogli e gli alberi si caricheranno di frutti» (Lv 26,3-4). Il Signore dà le piogge quando infonde la grazia della compunzione. E Isaia: «Cadrà la pioggia sulla tua semente, ovunque tu abbia seminato sulla terra» (Is 30,23), ed essa produrrà i suoi germogli. Dalla pioggia della compunzione nascerà il germoglio della buona volontà, e così gli alberi, cioè i sensi del corpo, saranno pieni dei frutti delle buone opere.
10. Con questo concorda ciò che Isaia dice al re Ezechia: «Quest'anno mangia ciò che nasce spontaneamente; nell'anno seguente nutriti di frutti; quindi nel terzo anno seminate e mietete, piantate vigne e mangiatene il frutto» (Is 37,30).
Osserva che c'è un triplice «stato» dei buoni, simboleggiato in questi tre anni, e cioè lo stato dei principianti, quello dei proficienti e in fine quello dei perfetti.
Gli incipienti, prevenuti dalla grazia divina, infusa in loro gratuitamente, mangiano ciò che nasce spontaneamente. Questo è anche ciò che dice il Signore per bocca di Osea: «Io li amerò gratuitamente» (Os 14,5). Infatti sono sostenuti dalla grazia, unicamente per la benevolenza divina, e non per i loro meriti anteriori. E anche il beato Bernardo dice: Talvolta non si riesce a trovare la disposizione alla pura orazione e una conveniente dolcezza di sentimenti; e invece la trova colui che non chiede, non cerca, non bussa e quasi non sa nulla, quando la grazia lo previene. Quando un'anima rozza e appena agli inizi viene introdotta in quella disposizione di orazione, che di solito è concessa solo come premio della santità e ai meriti dei perfetti, avviene come quando i servi vengono ammessi alla mensa dei figli.
I proficienti, simboleggiati nel secondo anno, si nutrono dei frutti delle buone opere, affinché la buona volontà, che prima era solo un pio affetto, si traduca nella pratica delle opere.
I perfetti invece, simboleggiati nel terzo anno, traboccano di ogni specie di pienezza, come è detto nel salmo: «Coroni l'anno», cioè la vita perfetta dei giusti, «con la tua benevolenza e i tuoi campi saranno ricolmi di abbondanza» (Sal 64,12). Giustamente quindi è detto: «Ogni valle sarà riempita».
Questo riempimento è indicato in quella «visita» della quale parla l'introito della messa di oggi: «Ricordati di noi, Signore, nella tua bontà verso il tuo popolo» (Sal 105,4). E anche Isaia dice: «Guarda dal cielo, Signore, e osserva dalla tua santa dimora e dal soglio della tua gloria» (Is 63,15). E di nuovo: «Signore, non adirarti senza fine, e non ricordarti per sempre della nostra iniquità. Ecco, Signore, guarda: siamo tutti tuo popolo!» (Is 64,9). «Visitaci con la tua salvezza» (Sal 105,4), cioè con la venuta del tuo Figlio, affinché le valli si riempiano di frumento.
Osserva che c'è un triplice «stato» dei buoni, simboleggiato in questi tre anni, e cioè lo stato dei principianti, quello dei proficienti e in fine quello dei perfetti.
Gli incipienti, prevenuti dalla grazia divina, infusa in loro gratuitamente, mangiano ciò che nasce spontaneamente. Questo è anche ciò che dice il Signore per bocca di Osea: «Io li amerò gratuitamente» (Os 14,5). Infatti sono sostenuti dalla grazia, unicamente per la benevolenza divina, e non per i loro meriti anteriori. E anche il beato Bernardo dice: Talvolta non si riesce a trovare la disposizione alla pura orazione e una conveniente dolcezza di sentimenti; e invece la trova colui che non chiede, non cerca, non bussa e quasi non sa nulla, quando la grazia lo previene. Quando un'anima rozza e appena agli inizi viene introdotta in quella disposizione di orazione, che di solito è concessa solo come premio della santità e ai meriti dei perfetti, avviene come quando i servi vengono ammessi alla mensa dei figli.
I proficienti, simboleggiati nel secondo anno, si nutrono dei frutti delle buone opere, affinché la buona volontà, che prima era solo un pio affetto, si traduca nella pratica delle opere.
I perfetti invece, simboleggiati nel terzo anno, traboccano di ogni specie di pienezza, come è detto nel salmo: «Coroni l'anno», cioè la vita perfetta dei giusti, «con la tua benevolenza e i tuoi campi saranno ricolmi di abbondanza» (Sal 64,12). Giustamente quindi è detto: «Ogni valle sarà riempita».
Questo riempimento è indicato in quella «visita» della quale parla l'introito della messa di oggi: «Ricordati di noi, Signore, nella tua bontà verso il tuo popolo» (Sal 105,4). E anche Isaia dice: «Guarda dal cielo, Signore, e osserva dalla tua santa dimora e dal soglio della tua gloria» (Is 63,15). E di nuovo: «Signore, non adirarti senza fine, e non ricordarti per sempre della nostra iniquità. Ecco, Signore, guarda: siamo tutti tuo popolo!» (Is 64,9). «Visitaci con la tua salvezza» (Sal 105,4), cioè con la venuta del tuo Figlio, affinché le valli si riempiano di frumento.
11. «Ogni monte e ogni colle sarà abbassato» (Lc 3,5). È ciò che dice anche Isaia: «La tua superbia è stata precipitata negli inferi, il tuo cadavere è steso a terra; sotto di te è sparsa la tignola e tua coperta saranno i vermi» (Is 14,11). Fa' attenzione a queste due parole: monte e colle. Il monte raffigura la superbia che è nel cuore; il colle la superbia che è nelle opere. Quella è peggiore di questa.
Dice Isaia: «Abbiamo sentito la superbia di Moab: è molto superbo; la sua superbia, la sua arroganza e la sua tracotanza sono maggiori della sua forza» (Is 16,6). E la Glossa interlineare commenta: Osa più di quanto non sia suo potere. «Perciò Moab urlerà contro Moab, tutti urleranno» (Is 16,7). Vale a dire: nell'inferno, tra i tormenti, il superbo urlerà contro il superbo, il lussurioso contro il lussurioso, e tutti urleranno contro se stessi.
Sempre Isaia: «I sàtiri urleranno uno contro l'altro» (Is 34,14). Parimenti: «Abbatterà coloro che stavano in posti sublimi, umilierà la città superba, l'abbatterà fino a terra e la getterà nella polvere. Sarà calpestata sotto i piedi» dei demoni «la superba corona degli infatuati di Efraim» (Is 26,5; 28,3).
E infine: «Siedi, taci, nasconditi nelle tenebre, figlia dei Caldei, perché non sarai più chiamata signora di regni» (Is 47,5).
Perciò «Ogni monte e ogni colle sarà abbassato».
Dice Isaia: «Abbiamo sentito la superbia di Moab: è molto superbo; la sua superbia, la sua arroganza e la sua tracotanza sono maggiori della sua forza» (Is 16,6). E la Glossa interlineare commenta: Osa più di quanto non sia suo potere. «Perciò Moab urlerà contro Moab, tutti urleranno» (Is 16,7). Vale a dire: nell'inferno, tra i tormenti, il superbo urlerà contro il superbo, il lussurioso contro il lussurioso, e tutti urleranno contro se stessi.
Sempre Isaia: «I sàtiri urleranno uno contro l'altro» (Is 34,14). Parimenti: «Abbatterà coloro che stavano in posti sublimi, umilierà la città superba, l'abbatterà fino a terra e la getterà nella polvere. Sarà calpestata sotto i piedi» dei demoni «la superba corona degli infatuati di Efraim» (Is 26,5; 28,3).
E infine: «Siedi, taci, nasconditi nelle tenebre, figlia dei Caldei, perché non sarai più chiamata signora di regni» (Is 47,5).
Perciò «Ogni monte e ogni colle sarà abbassato».
12. Un'altra considerazione sulla vera umiltà. Isaia, sospirando l'avvento di Cristo e prevedendo la sua umiltà, dice: «Oh, se tu squarciassi i cieli e discendessi: davanti al tuo volto si dissolverebbero i monti come il fuoco incendia le stoppie, e le acque arderebbero come il fuoco» (Is 64,1-2). Vedi di quale desiderio arda chi brama che i cieli si squarcino per poter contemplare, visibile nella carne, colui che è invisibile. Si squarci il cielo, discenda il Verbo e di fronte a lui si dissolva la superbia dei monti.
«Davanti al tuo volto», cioè alla presenza della tua umanità, «i monti si dissolverebbero». Chi sarebbe ancora sì superbo, sì arrogante e pieno di sé, se riflettesse a fondo sulla maestà che si è annientata, sulla potenza che si è resa debole e sulla sapienza che balbetta? Non si liquefarebbe il suo cuore come la cera al sole? (cf. Sal 67,3). E non direbbe con il profeta: «Nella tua verità», cioè nel tuo Figlio umiliato, o Padre, «hai umiliato anche me» (Sal 118,75)? «Come il fuoco incendia le stoppie», cioè il legno, il fieno e la paglia, così gli avari «sarebbero consumati». Chi infatti potrebbe ancora essere avaro, se contemplasse devotamente il Figlio di Dio avvolto in fasce, adagiato nella mangiatoia, egli che non ebbe dove piegare il capo (cf. Lc 9,58; Gv 19,30), se non quando «piegato il capo [sulla croce] rese lo spirito? Forse che l'avaro non rinuncerebbe all'amore delle cose terrene e tutto il suo denaro non si ridurrebbe in cenere come la paglia al fuoco? «E le acque» dei lussuriosi, che ogni giorno con le loro cadute camminano verso l'inferno, «non arderebbero del fuoco» dello Spirito Santo, che prosciuga le secrezioni della lussuria e infonde la grazia della continenza?
«Davanti al tuo volto», cioè alla presenza della tua umanità, «i monti si dissolverebbero». Chi sarebbe ancora sì superbo, sì arrogante e pieno di sé, se riflettesse a fondo sulla maestà che si è annientata, sulla potenza che si è resa debole e sulla sapienza che balbetta? Non si liquefarebbe il suo cuore come la cera al sole? (cf. Sal 67,3). E non direbbe con il profeta: «Nella tua verità», cioè nel tuo Figlio umiliato, o Padre, «hai umiliato anche me» (Sal 118,75)? «Come il fuoco incendia le stoppie», cioè il legno, il fieno e la paglia, così gli avari «sarebbero consumati». Chi infatti potrebbe ancora essere avaro, se contemplasse devotamente il Figlio di Dio avvolto in fasce, adagiato nella mangiatoia, egli che non ebbe dove piegare il capo (cf. Lc 9,58; Gv 19,30), se non quando «piegato il capo [sulla croce] rese lo spirito? Forse che l'avaro non rinuncerebbe all'amore delle cose terrene e tutto il suo denaro non si ridurrebbe in cenere come la paglia al fuoco? «E le acque» dei lussuriosi, che ogni giorno con le loro cadute camminano verso l'inferno, «non arderebbero del fuoco» dello Spirito Santo, che prosciuga le secrezioni della lussuria e infonde la grazia della continenza?
13. «E le vie tortuose saranno diritte» (Lc 3,5). È ciò che dice anche Isaia: «Abbandoni l'empio la sua via», cioè la via perversa, «e l'uomo iniquo i suoi pensieri e ritorni al Signore che avrà misericordia di lui» (Is 55,7). E Geremia: «Perverso è il cuore dell'uomo e inscrutabile: chi potrà mai conoscerlo?» (Ger 17,9). E di questa perversità dice ancora Isaia: «Se ne andò ramingo», - cioè fuori di sé come Caino, al quale fu detto: «Sarai ramingo e fuggiasco sulla terra» (Gn 4,12) -, ramingo «sulla strada», cioè nella perversa attività «del suo cuore» (Is 57,17).
Il cuore perverso diventa retto quando si avvera ciò che dice Isaia: «Rientrate nel vostro cuore, o prevaricatori!» (Is 46,8), ritornate cioè alla ragione, voi che siete vissuti come bestie. E di nuovo: «Figli d'Israele, sia profonda la vostra conversione, quanto è stata profonda la vostra perversione» (Is 31,6). E ancora: «Se cercate, cercate pure, convertitevi e venite» (Is 21,12): «se cercate» il mio aiuto nell'avversità, cercatelo anche nella prosperità. «Convertitevi» a me col cuore, «e venite» a me con le opere.
«E i luoghi scabrosi si cambieranno in vie pianeggianti» (Lc 3,5). È ciò che dice Isaia: «Pascoleranno sulle strade e i loro pascoli saranno tutti in luoghi pianeggianti; non patiranno né la fame né la sete e non li colpirà né l'arsura né il sole, perché colui che ha pietà di loro li guiderà e li disseterà alle sorgenti di acqua» (Is 49,9-10).
I luoghi scabrosi simboleggiano i cuori degli spietati, e si cambiano in vie pianeggianti quando diventano sensibili e miti. E questo è ciò che si legge nel quarto libro dei Re, quando Isaia dice: «Portate un impasto di fichi. Quando l'ebbero portato e posto sulla ferita di Ezechia, questi guarì» (4Re 20,7). La piaga del corpo è figura della spietatezza dell'animo; l'impasto di fichi raffigura la mitezza, la dolcezza e l'affabilità, virtù che guariscono la piaga della spietatezza. È detto infatti nel libro dei Proverbi: «Con la pazienza si calma il principe, e la lingua per quanto molle spezza le cose più dure» (Pro 25,15).
«E ogni carne vedrà la salvezza di Dio» (Lc 3,6), cioè ogni uomo, nel giudizio finale, vedrà Gesù Cristo. Gli empi a loro confusione «vedranno colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). Dice Isaia: «Nella terra dei santi operò l'iniquità, perciò non vedrà la gloria di Dio» (Is 26,10). I Settanta hanno tradotto: «L'empio venga allontanato, affinché non veda lo splendore di Dio». Invece i giusti, come dice Isaia: «vedranno con i loro occhi quando il Signore farà ritornare Sion a sé» (Is 52,8).
Il cuore perverso diventa retto quando si avvera ciò che dice Isaia: «Rientrate nel vostro cuore, o prevaricatori!» (Is 46,8), ritornate cioè alla ragione, voi che siete vissuti come bestie. E di nuovo: «Figli d'Israele, sia profonda la vostra conversione, quanto è stata profonda la vostra perversione» (Is 31,6). E ancora: «Se cercate, cercate pure, convertitevi e venite» (Is 21,12): «se cercate» il mio aiuto nell'avversità, cercatelo anche nella prosperità. «Convertitevi» a me col cuore, «e venite» a me con le opere.
«E i luoghi scabrosi si cambieranno in vie pianeggianti» (Lc 3,5). È ciò che dice Isaia: «Pascoleranno sulle strade e i loro pascoli saranno tutti in luoghi pianeggianti; non patiranno né la fame né la sete e non li colpirà né l'arsura né il sole, perché colui che ha pietà di loro li guiderà e li disseterà alle sorgenti di acqua» (Is 49,9-10).
I luoghi scabrosi simboleggiano i cuori degli spietati, e si cambiano in vie pianeggianti quando diventano sensibili e miti. E questo è ciò che si legge nel quarto libro dei Re, quando Isaia dice: «Portate un impasto di fichi. Quando l'ebbero portato e posto sulla ferita di Ezechia, questi guarì» (4Re 20,7). La piaga del corpo è figura della spietatezza dell'animo; l'impasto di fichi raffigura la mitezza, la dolcezza e l'affabilità, virtù che guariscono la piaga della spietatezza. È detto infatti nel libro dei Proverbi: «Con la pazienza si calma il principe, e la lingua per quanto molle spezza le cose più dure» (Pro 25,15).
«E ogni carne vedrà la salvezza di Dio» (Lc 3,6), cioè ogni uomo, nel giudizio finale, vedrà Gesù Cristo. Gli empi a loro confusione «vedranno colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). Dice Isaia: «Nella terra dei santi operò l'iniquità, perciò non vedrà la gloria di Dio» (Is 26,10). I Settanta hanno tradotto: «L'empio venga allontanato, affinché non veda lo splendore di Dio». Invece i giusti, come dice Isaia: «vedranno con i loro occhi quando il Signore farà ritornare Sion a sé» (Is 52,8).
14. Con questa seconda parte del vangelo concorda la seconda parte dell'epistola: «Non vogliate giudicare prima del tempo» (1Cor 4,5). Contro chi giudica, Isaia dice: «Guai a voi, che chiamate male il bene e bene il male; che fate delle tenebre luce e della luce tenebre; che fate dolce l'amaro e amaro il dolce» (Is 5,20).
«Finché venga il Signore» (1Cor 4,5). Ed Isaia: «Ecco, il Signore Dio viene con potenza e il suo braccio detiene il dominio. Egli ha con sé la mercede», cioè la retribuzione per tutti, «e i suoi trofei», cioè la croce e gli altri strumenti della sua passione, «con la quale ha operato la salvezza nella nostra terra» (Sal 73,12), «lo precedono» (Is 40,10), ad eterna confusione dei reprobi.
«Egli metterà in luce i segreti delle tenebre» (1Cor 4,5). E Isaia: «La luce d'Israele sarà nel fuoco, il suo Santo nella fiamma» (Is 10,17): luce per illuminare, nel fuoco per saggiare, nella fiamma per bruciare.
«E manifesterà le intenzioni dei cuori» (1Cor 4,5). E Isaia: «Poiché si sono insuperbite le figlie di Sion» - e qui è indicata la superbia del cuore -, «e procedono a collo eretto» - ecco l'arroganza nel portamento -, «e ammiccano con gli occhi» - e qui è indicata la lascivia -, «e avanzano pavoneggiandosi e muovendo i piedi con passo studiato» - ecco la superficialità e l'incostanza - : per questo, nel giorno del giudizio, «il Signore renderà calva la testa delle figlie di Sion», perché ciò che è nascosto sarà manifestato e così si vedrà la loro vergognosa calvizie, «e il Signore le denuderà della loro chioma», (Is 3,16-17), cioè metterà a nudo i loro pensieri e i loro perversi disegni. E questa sarà la vergogna degli empi.
Ma quando «ogni carne (ogni uomo) vedrà la salvezza di Dio» (Lc 3,6), «allora ciascuno avrà la sua lode da Dio» giusto (1Cor 4,5). E Isaia: «Dite al giusto: bene!» (Is 3,10).
Poiché non è possibile sapere e spiegare come sarà la lode e la gloria dei santi, Isaia non dice quanta e come sarà, ma dice soltanto: Bene! Perciò, fratelli carissimi, preghiamo il Signore Gesù Cristo, che abbassi i monti, raddrizzi le vie tortuose, renda soavi le cose aspre, affinché possiamo giungere a quel «bene che occhio non vide» perché è nascosto, «né orecchio udì» perché è silenzioso, «né mai entrò in cuore di uomo» (1Cor 2,9), perché è al di là di ogni umana comprensione.
Ce lo conceda colui che nel suo primo avvento fu umile, che nel secondo sarà terribile, amabile, soave e desiderabile e benedetto nei secoli eterni.
E ogni anima umile dica: Amen. Alleluia!
«Finché venga il Signore» (1Cor 4,5). Ed Isaia: «Ecco, il Signore Dio viene con potenza e il suo braccio detiene il dominio. Egli ha con sé la mercede», cioè la retribuzione per tutti, «e i suoi trofei», cioè la croce e gli altri strumenti della sua passione, «con la quale ha operato la salvezza nella nostra terra» (Sal 73,12), «lo precedono» (Is 40,10), ad eterna confusione dei reprobi.
«Egli metterà in luce i segreti delle tenebre» (1Cor 4,5). E Isaia: «La luce d'Israele sarà nel fuoco, il suo Santo nella fiamma» (Is 10,17): luce per illuminare, nel fuoco per saggiare, nella fiamma per bruciare.
«E manifesterà le intenzioni dei cuori» (1Cor 4,5). E Isaia: «Poiché si sono insuperbite le figlie di Sion» - e qui è indicata la superbia del cuore -, «e procedono a collo eretto» - ecco l'arroganza nel portamento -, «e ammiccano con gli occhi» - e qui è indicata la lascivia -, «e avanzano pavoneggiandosi e muovendo i piedi con passo studiato» - ecco la superficialità e l'incostanza - : per questo, nel giorno del giudizio, «il Signore renderà calva la testa delle figlie di Sion», perché ciò che è nascosto sarà manifestato e così si vedrà la loro vergognosa calvizie, «e il Signore le denuderà della loro chioma», (Is 3,16-17), cioè metterà a nudo i loro pensieri e i loro perversi disegni. E questa sarà la vergogna degli empi.
Ma quando «ogni carne (ogni uomo) vedrà la salvezza di Dio» (Lc 3,6), «allora ciascuno avrà la sua lode da Dio» giusto (1Cor 4,5). E Isaia: «Dite al giusto: bene!» (Is 3,10).
Poiché non è possibile sapere e spiegare come sarà la lode e la gloria dei santi, Isaia non dice quanta e come sarà, ma dice soltanto: Bene! Perciò, fratelli carissimi, preghiamo il Signore Gesù Cristo, che abbassi i monti, raddrizzi le vie tortuose, renda soavi le cose aspre, affinché possiamo giungere a quel «bene che occhio non vide» perché è nascosto, «né orecchio udì» perché è silenzioso, «né mai entrò in cuore di uomo» (1Cor 2,9), perché è al di là di ogni umana comprensione.
Ce lo conceda colui che nel suo primo avvento fu umile, che nel secondo sarà terribile, amabile, soave e desiderabile e benedetto nei secoli eterni.
E ogni anima umile dica: Amen. Alleluia!