Sermoni Domenicali

DOMENICA III DOPO PASQUA

– Vangelo della terza domenica dopo Pasqua: «Ancora un poco e non mi vedrete»; si divide in tre parti.
    – Anzitutto sermone agli ascoltatori della parola di Dio, e che cosa comunichi loro: «Va' e prendi il libro».
    – Parte I: Sermone sulla brevità della gloria temporale: «La speranza dell'empio è come lanugine».
    – Sermone sui sette vizi per i quali saranno puniti con sette castighi coloro che ne sono invischiati: «Udii una grande voce».
    – Parte II: Sermone sul pianto dei giusti e sul gaudio dei carnali: «In verità, in verità vi dico: voi piangerete»; e «Il Signore chiamerà al pianto».
    – Sermone contro gli adoratori di questo secolo, contro i carnali e i fornicatori: «Vidi una donna seduta sopra un bestia scarlatta»; i tre nomi del diavolo, le dieci corna e le sette teste della bestia, e il loro significato.
    – Sermone sulla tristezza dei santi: «Il mondo godrà».
    – Parte III: Sermone sul fatto che Dio ci vede (ci guarda) in tre modi: «Vi vedrò di nuovo»; e sermone sul cuore.
    – Sermone sulla gloria della beatitudine eterna e sullo splendore della Gerusalemme celeste: «L'angelo mi mostrò un fiume di acqua viva».
    – Esposizione morale del vangelo: «Quando partorisce la donna è afflitta»; nel prologo si parla della natura dei piccoli corvi e dell'anima penitente: «Come una donna abbandonata e con l'animo afflitto, il Signore ti ha richiamata».
    – Si dice anche in che modo l'uomo è concepito nell'utero della madre e le vicende che seguono, e come si debbano comprendere in senso morale.
    – Sermone sulla confessione, nella quale l'anima deve faticare, come la donna nel parto: «Spàsima e gemi!».

1. In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: «Ancora un poco e non mi vedrete; e un altro poco e mi vedrete, perché io vado al Padre» (Gv 16,16).
    Nell'Apocalisse, l'angelo dice a Giovanni: «Va' e prendi dalla mano dell'angelo il libro e divoralo: ti riempirà di amarezza il ventre, ma nella tua bocca sarà dolce come il miele» (Ap 10,8-9). Il libro, (in lat. liber, quasi come uber, cioè fecondo di lettere) raffigura l'abbondanza della predicazione. È quel pozzo che Isacco nella Genesi chiamò «abbondanza" (cf. Gn 26,33); è quel fiume, il cui corso vigoroso rallegra la città di Dio (cf. Sal 45,5), cioè l'anima nella quale Dio abita.
    O uomo, «afferra», cioè impadronisciti di questo libro per eliminare con la sua fecondità la tua sterilità, con la sua abbondanza la tua miseria. «E divoralo!». Divora il libro chi ascolta con avidità la parola di Dio. Infatti nel secondo libro di Esdra si dice che «gli orecchi di tutto il popolo erano tesi all'ascolto del libro» (2Esd 8,3). Tende gli orecchi al libro colui che ascolta la parola di Dio con attenzione. «E riempirà di amarezza il tuo ventre». Il ventre è quella parte del corpo che digerisce i cibi che riceve, ed è così chiamato perché distribuisce per tutto il corpo il nutrimento vitale: raffigura la mente dell'uomo, la quale deve accogliere la parola di Dio, accòltala deve quasi digerirla con la meditazione, e dopo averla bene meditata deve metterla in pratica nell'esercizio delle varie virtù.
    La parola di Dio riempie di amarezza il ventre perché, come dice Isaia, «amara è la bevanda per coloro che la bevono» (Is 24,9); e Ezechiele: «Me ne andai amareggiato nel mio spirito» (Ez 3,14). Non deve far meraviglia che la parola di Dio amareggi la mente, giacché annuncia la distruzione di tutte le cose temporali, la brevità della vita presente, l'amarezza della morte, l'asprezza delle pene dell'inferno.
    «Ma nella tua bocca sarà dolce come il miele», perché tutto ciò che è difficile come comando, amaro nelle parole della predicazione, diviene leggero e dolce per colui che ama; o anche: è amaro in questa vita perché stimola alla penitenza, ma sarà dolce nella patria perché condurrà alla gloria. È in riferimento a queste cose che il Signore dice nel vangelo di oggi: «Ancora un poco e non mi vedrete».
2. In questo vangelo si devono poi osservare tre verità. Primo, la breve durata della nostra vita, dove si dice: «Ancora un poco e non mi vedrete». Secondo, la vana felicità dei mondani quando afferma: «In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete». Terzo, la gloria eterna: «Io vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà». Confronteremo le tre parti di questo brano evangelico con le tre ultime dell'Apocalisse. La prima parte tratta dei sette angeli che recano le sette coppe dell'ira di Dio; la seconda parla della dannazione della grande meretrice, cioè della vanità mondana; la terza parla del fiume di acqua viva, cioè dell'eternità della vita futura. Nell'introito della messa si canta: «Innalzate a Dio da tutta la terra inni di giubilo». Si legge poi l'epistola del beato Pietro: «Io vi esorto, come stranieri e pellegrini».
3. «Ancora un poco e non mi vedrete», come dicesse: Poco, cioè breve tempo mi resta, fino a quando dovrò subire la passione e sarò rinchiuso nel sepolcro; e poi ancora un po' di tempo, fino a quando mi vedrete risuscitato. Oppure anche: Sarà breve il tempo, cioè tre giorni, nel quale non sarò veduto, perché rinchiuso [nel sepolcro]; e di nuovo sarà breve il tempo, cioè quaranta giorni, nel quale mi vedranno risorto. «Perché vado al Padre», vale a dire, perché è ormai giunto il tempo che io, deposta la mia condizione mortale, introduca in cielo la natura umana.
    Senso morale. Osserva che in questo brano evangelico per ben sette volte è ripetuta la parola «un poco», ad indicare che la nostra vita, che si evolve nel giro di sette giorni, è breve e misurata. Dice infatti Giacomo: «Che cos'è mai la nostra vita? È come vapore che appare un istante e poi scompare» (Gc 4,15). E Giobbe: «Passano nel benessere i loro giorni, e in un istante scendono nel sepolcro» (Gb 21,13). E di nuovo: «La gloria degli empi è breve e la felicità dell'ipocrita è come un punto» (Gb 20,5). Punto deriva da pungere, ed è brevissimo perché non ha durata e perché, a motivo della sua incalcolabile brevità, non può essere diviso in parti. Il punto raffigura la vita del peccatore: in essa c'è la puntura, la trafittura della coscienza e la brevità della vita.
    Leggiamo nel libro della Sapienza: «La speranza dell'empio è come lanugine spazzata via dal vento, e come una schiuma leggera dispersa dalla tempesta, e come il fumo sparpagliato dal vento, e come il ricordo dell'ospite di un sol giorno, che si dilegua» (Sap 5,15).
    Il piacere che si spera di trarre dall'abbondanza delle cose terrene è labile come la lanugine. La lanugine è la peluria di certi frutti; è anche il frutto della canna, vuoto e superfluo come la schiuma, della quale dice Osea: «Samaria fece passare il suo re come la schiuma sulla superficie dell'acqua» (Os 10,7). Samaria raffigura la dignità, l'autorità che fa passare il suo re, cioè il prelato, come la schiuma, nella quale è indicata la superbia, che subito è spazzata via dalla tempesta della fragilità. Anche il piacere è come un fumo della mente, che disturba gli occhi; si lascia dietro escrementi, cioè le immondezze del peccato, come un ospite di passaggio. Concorda con questi paragoni ciò che dice Osea: «Saranno come una nuvola del mattino, come rugiada che all'alba svanisce, come la polvere che il turbine alza dall'aia, e come il fumo che esce dal camino» (Os 13,3). La nuvola e la rugiada vengono disperse e consumate dal sole che sorge. La polvere è portata via dal vento e il fumo viene sparpagliato in leggere volute. Così, quando arriva la vampa della morte, viene meno e si dissolve l'abbondanza delle cose temporali, svanisce la concupiscenza della carne e ogni vanagloria.
    Guai dunque a coloro che per la fallace abbondanza di questa vita, per un misero piacere momentaneo, perdono la vita eterna: nei sette giorni di questo infelice esilio sono invischiati nei sette vizi [capitali], e quindi saranno condannati a bere dalle sette coppe dell'ira di Dio.
4. Ed ecco la concordanza con l'Apocalisse: «Udii dal cielo una grande voce che diceva ai sette angeli: Andate e versate sopra la terra le sette coppe dell'ira di Dio. Partì il primo e versò la sua coppa sopra la terra. Il secondo versò la sua coppa nel mare. Il terzo versò la sua coppa nei fiumi e nelle sorgenti delle acque. Il quarto versò la sua coppa sul sole. Il quinto versò la sua coppa sul seggio della bestia e il suo regno divenne tenebroso. Il sesto versò la sua coppa nel grande fiume Eufrate. Il settimo versò la sua coppa nell'aria» (Ap 16,1-17).
    Nella terra sono indicati gli avari e gli usurai; nel mare i superbi e i boriosi (cf. Is 51,9-10); nei fiumi e nelle sorgenti d'acqua i lussuriosi; nel sole i vanagloriosi; nel seggio della bestia gli invidiosi e gli accidiosi; nel fiume Eufrate, che s'interpreta «abbondanza», i beoni e i golosi; infine nell'aria i falsi religiosi.
    Della terra dell'avarizia, il Signore dice al serpente: «Mangerai terra tutti i giorni della tua vita» (Gn 3,14), perché l'avaro è il cibo del diavolo.
    Del mare della superbia dice Giobbe: «Il mare dice: non è con me» (Gb 28,14) la sapienza, perché «Dio resiste ai superbi» (Gc 4,6; 1Pt 5,5).
    Del fiume della lussuria è detto nell'Esodo che il faraone diede a tutto il popolo quest'ordine: «Ogni figlio maschio che nascerà, lo getterete nel fiume» (Es 1,22). Faraone s'interpreta «che distrugge» o «che spoglia», e raffigura il diavolo che, dopo aver distrutto l'edificio delle virtù, spoglia e denuda l'uomo sventurato della veste della grazia di Dio. Il diavolo vuole distruggere nel fiume della lussuria ogni opera virile, virtuosa e perfetta, e preservare invece le femmine, cioè le menti effeminate, delle quali si serve per fare il male.
    Del sole della vanagloria, parlando della semente del seminatore, il Signore dice: «Spuntato il sole restò bruciata, e poiché non aveva radici si seccò» (Mt 13,6). La semente rappresenta le opere buone le quali, quando arde il sole della vanagloria, si seccano. Infatti, tutto ciò che fai per vanagloria, lo perdi. In proposito dice Bernardo: Da dove la gloria a te, che sei cenere e polvere? Dalla santità della vita? Ma è lo Spirito che santifica: non il tuo, ma quello di Dio. Oppure ti lusinga il favore popolare, perché sai esporre con eleganza la buona parola? Ma è Dio che dà la bocca e la sapienza. Che cos'è la tua lingua, se non la penna dello scriba che scrive velocemente? (cf. Sal 44,2).
    Dice il Filosofo che «per via breve giungono alla gloria coloro che si sforzano di essere realmente ciò che vogliono apparire» (Cicerone, De officiis).
    Del seggio dell'invidia, sul quale siede la bestia, cioè il diavolo, dice l'Apocalisse: «So dove abiti, dove è la sede di satana» (Ap 2,13). Gli invidiosi sono la dimora del diavolo. Dice Giobbe: «La bestia entrerà nel suo nascondiglio, e dimorerà nel suo antro» (Gb 37,8). Il nascondiglio e l'antro sono figura del cuore degli invidiosi, che è ottenebrato dalla fuliggine dell'invidia. «Antro» infatti suona quasi come «atro», cioè nero, oscuro.
    Dell'Eufrate della gola è detto in Geremia che la cintura era imputridita nel fiume Eufrate (cf. Ger 13,7). La cintura della castità imputridisce negli eccessi della gola e dell'ebbrezza. Dice il Filosofo: «Mangia e bevi per vivere bene; non vivere solo per mangiare e bere» (Socrate).
    Dell'aria della falsa religione è detto nell'Apocalisse che «fu oscurata l'aria dal fumo che saliva dal pozzo» (Ap 9,2). Il pozzo è la cupidigia, il cui fumo ha ormai affumicato quasi tutti i religiosi.
    Tutti coloro che si saranno invischiati in questi sette vizi durante i sette giorni di questa vita, saranno ubriacati con le sette coppe, saranno colpiti dalle sette piaghe, vale a dire dalle sette sentenze di condanna, nell'inferno. Saranno eternamente puniti nel corpo e nell'anima, con cui hanno peccato.
    Fratelli carissimi, preghiamo dunque Gesù Cristo, che in questi sette brevi giorni della nostra vita ci preservi, ci protegga e ci custodisca da questi sette vizi, affinché, liberati dalle sette pene dell'inferno, meritiamo di arrivare al regno infinito della sua gloria. Ce lo conceda colui che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.
5. «In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete: il mondo invece godrà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è afflitta perché è giunta la sua ora; ma quando ha partorito il bambino, non si ricorda più delle doglie, per la gioia che è venuto al mondo un uomo» (Gv 16,20-21).
    Nelle tribolazioni di questo mondo tutti i buoni piangono, mentre gli estimatori e gli amanti del mondo godono. In proposito dice Isaia: «Il Signore degli eserciti chiamò al lamento e al pianto, a radersi il capo e a vestirsi di sacco. Invece si gode e si sta allegri, si uccidono vitelli e si scannano arieti, si mangiano carni e si beve vino: Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo» (Is 22,12-13). Tutti i giusti sono chiamati dalla grazia di Dio al pianto della contrizione e al lamento della confessione; a radersi il capo, cioè alla rinuncia delle cose temporali, a vestirsi di sacco, cioè all'asprezza della penitenza. Invece gli amatori del mondo vivono nei piaceri del mondo, nell'allegria del peccato, ubriachi di gola e di lussuria.
6. E questa è la Babilonia alla quale si riferiscono le parole dell'Apocalisse: «Vidi una donna - dice Giovanni - seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna. E la donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d'oro, di pietre preziose e di perle, con in mano una coppa d'oro colma degli abomini e delle immondezze della sua fornicazione» (Ap 17,3-4). La donna (in lat. mulier da mollities, effeminatezza) raffigura quegli effeminati che uniformano la loro vita a quella di Eva, dalla quale ha avuto inizio il peccato. Di questa donna dice Salomone: «La prostituta è come lo sterco sulla strada» (Eccli 9,10). Lo sterco deriva il suo nome dal fatto che viene sparso (lat. sterno, spargo) sui campi. Nella prostituta sono raffigurati tutti i mondani, che vengono calpestati dai demoni come lo sterco dai passanti. Di questa meretrice il Signore si lamenta con le parole di Geremia: «Da tempo hai infranto il mio giogo, hai spezzato i miei legami e hai detto: Non ti servirò! Infatti sopra ogni colle elevato e sotto ogni albero frondoso ti sei prostituita» (Ger 2,20).
    I figli di questo secolo, generazione depravata, adultera e perversa; i figli spuri, compagni dei ladri, cioè dei demoni, hanno spezzato il giogo dell'obbedienza, hanno infranto i legami dei comandamenti di Dio e hanno detto: Non serviremo! Infatti dice Giobbe: «Chi è l'Onnipotente, perché dobbiamo servirgli? E che giovamento ne avremo se lo adoreremo?» (Gb 21,15). Sopra ogni colle elevato della superbia e sotto ogni albero frondoso della lussuria - giacché la lussuria cerca i luoghi frondosi e oscuri - come una meretrice si prosternano davanti al diavolo! Giustamente quindi dice Giovanni: «Vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta». La bestia, quasi vastia, devastatrice, è il diavolo che devasta le potenze dell'anima: il diavolo è sanguinario verso se stesso e verso i suoi. Su di lui siedono i mondani; essendo il loro fondamento, essi a lui si appoggiano. Ma chi si appoggia al diavolo, che precipita dal cielo, con lui necessariamente precipiterà. Dice Giobbe: «Precipiterà sotto gli occhi di tutti» (Gb 40,28): tanto lui quanto i reprobi, dei quali lui è il capo.
    «Ricoperta di nomi blasfemi». Il diavolo, come dice l'Apocalisse, ha tre nomi: in ebraico «Abdo», in greco «Apollyon», in latino «Exterminans». Abdo significa schiavo. Apollyon ha lo stesso significato di Exterminans, cioè sterminio, distruzione (cf. Ap 9,11). Il termine greco Apollyon può significare anche dannoso (apothéis pòlin, che scaccia dalla città) e infernale. Questi sono i nomi blasfemi, con i quali il diavolo e i suoi seguaci bestemmiano Dio. Sono infatti schiavi del peccato, dannosi e infernali sterminatori, che mettono cioè se stessi e gli altri extra terminum, fuori dei confini della vita eterna.
    «[La bestia] ha sette teste e dieci corna». Le sette teste sono i sette vizi di cui parla il profeta: «Vidi nella città l'ingiustizia e la discordia. Giorno e notte si aggirano sulle sue mura l'iniquità, e in mezzo ad essa affanno e ingiustizia; e dalle sue piazze mai si allontanano l'usura e la frode» (Sal 54,10-12). Città del sangue, tutta piena di menzogna, nella quale il Signore non entra; vi è riunita una moltitudine di carnali e in essa c'è l'ingiustizia contro Dio, ricordata qui due volte, perché in due modi si pecca contro Dio: eseguendo l'opera cattiva e omettendo l'opera buona. La discordia si riferisce al prelato, l'affanno e l'ingiustizia a te stesso, l'usura e la frode al prossimo.
    Delle dieci corna parla l'apostolo: «Sono ricolmi di ogni iniquità, malizia, fornicazione, avarizia, perversità, invidia, omicidi, contese, inganno, malignità» (Rm 1,29). Oppure, le sette teste e le dieci corna sono quelle di cui parla la Sapienza: «Tutto è in grande confusione: sangue e omicidio, furto e inganno, corruzione e infedeltà, disordine e spergiuro, confusione tra i buoni, dimenticanza di Dio, corruzione delle anime, perversione sessuale, infedeltà matrimoniali, dissolutezze, concubinaggio e impudicizia, culto di idoli abominevoli» (Sap 14,25-27).
7. «E la donna era ammantata di porpora e di scarlatto...». Nella porpora è indicata la brama delle dignità; nello scarlatto, che è color sangue, la crudeltà della mente; nell'oro la sapienza mondana; nelle pietre preziose e nelle perle l'abbondanza delle ricchezze. Di tutte queste cose si ammanta e si orna la donna meretrice, cioè la grande Babilonia, la sinagoga di Satana, la turba dei carnali.
    «E tiene in mano una coppa d'oro». La coppa, o calice d'oro, in mano a Babilonia è la gloria del mondo, dorata di fuori, ma dentro ricolma di ogni lordura e abominio. Dice infatti Salomone: «Fallace è la grazia e vana è la bellezza» (Pro 31,30). Con questo calice si ubriacano i re di questo mondo, i prelati della chiesa, le religiose e i religiosi. Perciò dice Giovanni: «Con essa hanno fornicato i re della terra, e quelli che l'abitano si sono ubriacati del vino della sua prostituzione» (Ap 17,2).
    Di questa ubriachezza dice Isaia: «Il Signore ha mandato in mezzo all'Egitto uno spirito di vertigine, e lo ha fatto andare errando in ogni sua impresa, come va barcollando l'ubriaco che vomita» (Is 19,14). Il vortice, in senso proprio, si forma quando si alza il vento e fa girare vorticosamente la polvere; invece la vertigine è un disturbo della testa. In mezzo all'Egitto, cioè tra i mondani, il Signore ha mandato, ha permesso cioè che andasse, lo spirito della vertigine, cioè la passione e la cupidigia, sotto il cui impeto quei miseri sono presi dal vortice, quasi come da un vento, e così vanno errando come l'ubriaco, per il quale nessuna via è abbastanza larga. E come l'ubriaco mentre viene trascinato o percosso non sente nulla, così anche i mondani diventano insensibili. Per questo dicono: «Mi bastonarono e non sentii dolore, mi trascinarono ma non me ne accorsi» (Pro 23,35), perché il disgraziato peccatore non sente dolore quando è bastonato dai demoni, e quando dagli stessi è trascinato di peccato in peccato, non se ne rende conto.
    Concordano con tutto questo le parole di Geremia: «Godi ed esulta, figlia di Edom, che abiti nella terra di Uz: anche a te arriverà il calice, ti inebrierai e sarai denudata» (Lam 4,21). Edom s'interpreta «sangue». La figlia di Edom raffigura l'impudica voluttà dei carnali. Il profeta le dice ironicamente: «Godi ed esulta!». Essa gode nell'abbondanza del mondo ed esulta nella lussuria della carne. Essa abita nella terra di Uz, nome che s'interpreta «consiglio», del quale dice Isaia: «I sapienti consiglieri del faraone gli diedero un consiglio stolto» (Is 19,11). I sapienti di questo mondo danno un consiglio stolto, di cercare cioè le cose temporali, di rincorrere le cose transitorie, di credere alle false promesse del mondo. La figlia di Edom, ingannata dal consiglio di questo mondo, si ubriaca al calice d'oro della gloria mondana e poi viene denudata. Infatti gli amatori di questo secolo, dopo l'ubriachezza delle cose temporali, saranno denudati di tutti i beni, e così denudati saranno condannati alle pene eterne.
    Continua quindi Giovanni nell'Apocalisse: «Un angelo potente sollevò una pietra, quasi una grande mola, e la gettò nel mare gridando: Con la stessa violenza sarà precipitata Babilonia, la grande città, e mai più sarà ritrovata» (Ap 18,21). L'angelo potente è Cristo che sbaraglia le potestà dell'aria. «Sollevò una pietra», perché solleva i cattivi e coloro che hanno il cuore indurito, per punirli più gravemente; «quasi una grande mola», perché sono travolti dalle cose mondane, o anche perché schiacciano gli altri; «e la lanciò nel mare», cioè nell'amarezza dell'inferno, affinché nella misura in cui Babilonia si insuperbì e si abbandonò ai piaceri, nella stessa misura sia sprofondata nei tormenti (cf. Ap 18,7).
8. Giustamente quindi nel vangelo di oggi il Signore dice: «Il mondo godrà mentre voi sarete nella tristezza: ma la vostra tristezza si cambierà in gaudio», e il godimento del mondo si cambierà in tristezza. E dice il Signore in altra parte del vangelo: «Ogni uomo presenta dapprima il vino buono e poi il meno buono» (Gv 2,10). In questo mondo bevono il vino dell'allegria, ma nell'altro berranno l'aceto della geenna. Dice infatti Geremia: «Ecco, coloro ai quali nessun tribunale aveva imposto di bere il calice, lo dovranno bere: e tu credi forse di restare impunito? Non sarai considerato innocente, e anche tu dovrai berlo! Ho giurato infatti per me stesso - dice il Signore - che Bozra diventerà un deserto, un obbrobrio, uno scherno e una maledizione» (Ger 49,12-13).
    I santi, ai quali nessun tribunale ha imposto di bere il calice della tristezza di questo mondo, lo berranno con l'amarezza del cuore, lo berranno con la sofferenza del corpo; infatti soffrono e piangono per tutti gli abomini che si commettono sulla terra. E tu, Babilonia, madre di fornicazioni, sarai considerata innocente? No, non sarai trattata come innocente, ma dopo aver bevuto in questo mondo il vino del piacere, berrai nell'altro l'aceto dell'inferno. E dice Gregorio: «Se così grande è la miseria di questa vita mortale, che neppure i giusti, che pur un giorno abiteranno nel cielo, possono trascorrere quaggiù la vita senza travagli, data la vastità dell'umana miseria, quanto più coloro che saranno privati della gloria celeste dovranno aspettarsi come sicura conclusione l'eterna dannazione». E ancora: «Ogni volta che medito sulla pazienza di Giobbe e richiamo alla mente la morte di Giovanni Battista, dico a te, peccatore, cerca di comprendere che cosa dovranno patire quelli che Dio condanna, se soffrono in questo modo coloro che vengono encomiati dalla testimonianza del giudice stesso». Che cosa sarà dell'arbusto del deserto, se perfino il cedro del paradiso sarà scosso dal terrore? «Ho giurato per me stesso, dice il Signore», - perché non c'è nessuno al di sopra di me (cf. Eb 6,13) sul quale giurare - «che Bozra», nome che significa «fortificata», cioè la perfida sinagoga dei mondani che si fortifica contro il Signore con i bastioni dei peccati e con i giavellotti delle difese, «diventerà un deserto», perché resterà isolata senza la compagnia della grazia, «un obbrobrio» perché spogliata di tutti i beni temporali, «uno scherno» perché schernita e ingannata dai demoni, «e una maledizione», quella che dice: «Andate, maledetti, nel fuoco eterno!» (Mt 25,41).
    «La donna, quando giunge il tempo del parto, è nella tristezza». Triste suona quasi come trito, dal lat. tero, teris, battere. I santi nel pellegrinaggio di questo mondo sono triti, pestati, battuti, afflitti e angustiati: di essi il mondo non è degno (cf. Eb 11,37-38). Ad essi parla oggi Pietro con le parole della sua lettera: «Carissimi, vi scongiuro, come forestieri e pellegrini, di astenervi dai desideri carnali, che lottano contro l'anima» (1Pt 2,11). Il forestiero è detto in lat. advena, da advenio, arrivo da un altro luogo. Il pellegrino è colui che va lontano dalla sua patria. Tutti siamo forestieri, perché veniamo da un altro luogo: dal gaudio del paradiso [terrestre] siamo arrivati alla misera condizione di questo esilio; siamo anche pellegrini perché, cacciati dal volto e dagli occhi di Dio, ce ne andiamo mendicando, lontani dalla patria del cielo.
    Asteniamoci dunque dai desideri della carne, sull'esempio di Nabot, il cui nome significa «eccelso»: come lui preferì morire - così si racconta nel terzo libro dei Re (cf. 3Re 21,114) - piuttosto che vendere la sua eredità, così noi dobbiamo essere disposti a soffrire qualunque pena, piuttosto che barattare la gloria eterna con i piaceri della carne. E se faremo questo la nostra tristezza si cambierà in gioia.
    E con tutto questo si accordano le parole dell'introito della messa di oggi: «Innalzate a Dio da tutta la terra inni di giubilo; cantate un salmo al suo nome, dategli la gloria e la lode» (Sal 65,1-2). Ci esorta a fare tre cose: Giubilate con il cuore; cantate un salmo con la bocca; dategli la gloria con le opere buone, per meritare di giungere alla gloria dell'eterno gaudio.
9. «Ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore godrà e nessuno potrà togliervi il vostro gaudio» (Gv 16,22).
    Osserva che il Signore ci vede (ci guarda) in tre modi. Primo, infondendoci la grazia. Egli disse a Natanaele: «Quando eri sotto il fico, io ti vidi» (Gv 1,48). I progenitori, esuli dal paradiso terrestre, ricevettero delle vesti fatte di foglie di fico, foglie che sulla pelle fanno prurito. Sta sotto il fico colui che si ferma all'ombra di una condotta svogliata e si lascia prendere dal prurito della libidine della carne. Dio vede costui, lo guarda, quando gli conferisce la grazia. Secondo, lo vede, quando gli mantiene la grazia che gli ha dato. Leggiamo nella Genesi: «Vide il Signore tutte le cose che aveva fatto, ed erano tutte molto buone» (Gn 1,31). Tutte le cose che il Signore opera in noi quando ci infonde la grazia sono buone; ma quando vede, cioè quando mantiene in noi ciò che ha operato, allora sono molto buone, cioè perfette. Terzo, ci vedrà quando ci prenderà con sé. Dice infatti: «Vi vedrò di nuovo, e godrà il vostro cuore».
    Il cuore è la fonte del calore e il principio del sangue, ed è anche il principio dei moti delle cose piacevoli e di quelle dannose; e in generale i moti di tutti i sensi hanno inizio dal cuore e ad esso ritornano. E l'energia dello spirito rimane nel cuore fino all'ultimo istante; e avviene la consunzione di tutte le membra prima di quella del cuore: esso per primo incomincia a pulsare e per ultimo si arresta. Poiché dunque il cuore è l'organo più nobile degli altri, dice di esso il Signore: «Godrà il vostro cuore», perché come da esso procede la vita, così ne proceda anche il gaudio.
10. «E nessuno potrà togliervi il vostro gaudio». Con questo concorda l'ultima parte dell'Apocalisse: «L'angelo mi mostrò un fiume di acqua viva, splendido come il cristallo, che procedeva dal trono di Dio e dell'Agnello, in mezzo alla piazza della città» (Ap 22,1-2). Nel fiume è indicata l'eternità, nell'acqua viva la sazietà, nello splendore del cristallo la luminosità, e nel trono di Dio e dell'Agnello, che è Dio e Uomo, è indicata l'umanità glorificata. Ecco il vostro gaudio, che nessuno potrà togliervi.
    Del fiume dell'eternità dice il Signore con le parole di Isaia: «Se tu avessi dato ascolto ai miei comandi, la tua pace sarebbe stata come un fiume» (Is 48,18). Il fiume ha l'acqua perenne. O uomo, se tu presti ascolto ai comandi di Dio, godrai sicuro nella pace dell'eternità. Sulla sazietà (procurata) dall'acqua viva è detto nel salmo: «È in te la sorgente della vita» (Sal 35,10); sorgente perenne, sorgente che tutti appaga: chi da essa berrà, non avrà più sete in eterno (cf. Gv 4,13).
    Sulla luminosità dice sempre l'Apocalisse: «La città non ha bisogno di sole, né di luna; infatti la illumina la luce di Dio e la sua lampada è l'Agnello» (Ap 21,23), cioè il Figlio di Dio. Dal suo trono, cioè dall'umanità nella quale la divinità si è umiliata, procedono la luce dell'eternità, l'acqua viva dell'eterno appagamento, lo splendore cristallino dell'eterno fulgore, e si allargano al centro, cioè nella comunità, della piazza della città, della Gerusalemme celeste, perché Dio sarà tutto in tutti (cf. 1Cor 15,28), tutti riceveranno un solo denaro, tutti insieme parteciperanno alla ricompensa, rendendo grazie al Verbo incarnato, perché per mezzo di lui sono diventati eterni, appagati, splendenti e beati.
    Anche noi, o Signore Gesù, ti preghiamo che nei sette giorni di questa breve esistenza tu ci conceda di concepire lo spirito della salvezza, e di partorire nella tristezza del cuore l'erede della vita eterna, e così meritiamo di bere al fiume dell'acqua viva nella celeste Gerusalemme e godere per sempre con te. Concedi a noi tutto questo tu che sei benedetto, glorioso, degno di lode e di amore, benigno e immortale per i secoli eterni. E ogni creatura risponda: Amen. Alleluia.
11. «La donna quando partorisce è nella tristezza». Dice Isaia: «Come una donna abbandonata e con l'animo afflitto, Dio ti ha chiamata» (Is 54,6). Il Signore con l'ispirazione della sua grazia e con la predicazione della chiesa chiama alla penitenza la donna, cioè l'anima peccatrice, fiacca ed effeminata: abbandonata dal diavolo ma accolta da Dio. Per questo essa dice: «Mio padre», cioè il diavolo, «e mia madre», cioè la concupiscenza carnale, «mi hanno abbandonata: il Signore invece mi ha accolta» (Sal 26,10). Coloro che sono abbandonati dal diavolo, vengono accolti da Cristo.
    Si racconta che il corvo non nutre i suoi piccoli se prima non vede in essi le penne crescere nere; perciò nel frattempo i piccoli corvi vivono così: sulla bava che esce dalla bocca dei piccoli corvi si radunano tante mosche; allora essi risucchiano la bava insieme con le mosche e in questo modo così singolare si sostentano. Dice Giobbe: «Chi preparò al corvo il nutrimento, quando i suoi piccoli gridano verso Dio, e vanno qua e là perché non hanno cibo?» (Gb 38,41). E nel salmo: «Egli dà il loro cibo ai giumenti e ai piccoli del corvo che gridano a lui» (Sal 146,9). Però il corvo, se vede nei suoi piccoli le penne crescere bianche, li abbandona e li getta fuori del nido.
    Il corvo raffigura il diavolo. I figli del corvo sono i peccatori che vivono in peccato mortale, prendendo così il colore nero del padre. Perciò dice di essi il profeta Naum: «La loro faccia è come il nero della pentola» (Na 2,10). La pentola prende il colore nero dal fuoco e dal fumo. La faccia raffigura le opere, dalle quali, come dalla faccia, si riconosce l'uomo. «Li riconoscerete dai loro frutti» (Mt 7,16). Perciò le opere dei peccatori sono come la negrezza della pentola, perché rese tali dal fuoco della suggestione diabolica e dal fumo della concupiscenza carnale. Dice quindi Geremia: «La loro faccia si è annerita sopra i carboni» (Lam 4,8). I peccatori sono quindi figli del diavolo, ma quando, per mezzo della grazia, con la remissione dei peccati riacquistano il candore, allora il diavolo li abbandona e il benignissimo Signore li accoglie tra le braccia della sua misericordia.
    Giustamente quindi è detto: «Una abbandonata e con l'animo afflitto». Di essa dice Geremia: «Mi ha reso desolata, affranta dal dolore per sempre» (Lam 1,13). «Desolata», vale a dire priva del conforto delle cose temporali; «affranta dal dolore»: in lat. moerore confectam, lett. composta, «confezionata» di tristezza. Ottima «confezione» (sic), quando con queste tre eccellenti spezie, la contrizione, la confessione e la soddisfazione, unite al balsamo della divina misericordia, per opera dello speziale, cioè dello Spirito Santo, si confeziona il ricostituente per l'anima pentita. Di essa dice appunto il Signore nel vangelo di oggi: «La donna quando partorisce è nella tristezza».
    E poiché il Signore ci ha presentato l'esempio della donna che partorisce e della sua sofferenza, per insegnarci a pentirci del peccato e a partorire l'opera buona, per questo vogliamo spiegare in che modo l'uomo viene concepito nel grembo materno, come si forma, come viene portato per nove mesi e come venga partorito nella sofferenza: spiegheremo prima il processo naturale e poi le applicazioni morali che se ne possono trarre.
12. La donna concepisce nel piacere e partorisce nel dolore. Dopo la fecondazione la donna aumenta di peso e nei suoi occhi si forma quasi un'ombra; in alcune donne questo avviene presto, dopo dieci giorni, in altre qualche tempo dopo. Nelle donne gravide subentra una diminuzione dell'appetito, quando all'embrione incominciano a crescere sulla testa i capelli. Fra tutti gli organi si forma per primo il cuore, e gli organi interni si formano prima di quelli esterni. E si configura per prima la parte superiore, dal diaframma in su, ed è in proporzione la più grande; invece la parte inferiore è più piccola. Necessariamente l'organo che è il cuore dev'essere formato prima degli altri, dal momento che è il principio del movimento ed è l'organo che ha un vasto campo di influenza, perché da esso procede (dipende) la vita. E il cuore è collocato nella parte superiore e sul davanti: ciò che è più nobile è insediato nella parte più nobile, secondo la natura.
    Solo il cuore fra tutti gli organi interni non deve assolutamente avere sofferenze o grandi infermità. E questo è giusto, perché se si rovina il principio, il fondamento, non c'è più il sostegno degli altri organi. Sono gli altri organi che ricevono forza dal cuore: il cuore invece non la riceve da essi. E nel cuore non c'è osso, fuorché nel cuore del cavallo e in quello di una certa razza di mucche: nel cuore di questi animali c'è l'osso a motivo della grandezza del loro corpo. L'osso infatti è posto nel cuore dalla natura per sostenerlo, come in tutte le altre membra.
    Dunque dopo la formazione del cuore, si forma la parte superiore del corpo. Perciò nella formazione dell'embrione compaiono prima la testa e gli occhi. Invece le membra che sono al disotto dell'ombelico, come le gambe e le cosce, appaiono molto piccole, giacché la parte inferiore del corpo è ordinata solo alla parte superiore.
    Nel cuore dunque deve trovarsi il fondamento, il principio dei sensi e tutte le potenze naturali, ed è per questo che il cuore si forma per primo. E a motivo del calore del cuore e del fatto che da esso si dipartono le vene, la natura ha disposto, in contrapposizione al cuore, un organo freddo, e cioè il cervello: per questo nel processo dello sviluppo la testa si forma dopo la formazione del cuore.
    La grandezza della testa è superiore a quella delle altre membra, perché il cervello è grande e umoroso fin dall'inizio della sua formazione. Infatti i neonati non sono in grado di tenere sollevata la testa per lungo tempo: proprio per il peso del cervello. E tutte le membra ricevono prima la loro configurazione e le loro caratteristiche; e solo dopo ricevono la consistenza, la morbidezza e il colorito che sono loro propri; infatti il pittore fa prima il disegno, e poi sul disegno stende il colore, finché ha completato la sua opera.
    Se nel corpicino si formano gli attributi maschili, le donne gravide hanno un colorito più bello e il parto risulterà più facile. Già dal quarantesimo giorno il maschietto incomincia a muoversi. L'altro sesso, vale a dire la femmina, incomincia a muoversi solo al novantesimo giorno, e appena concepita copre di pallore il volto della gestante e ne rende fiacche e lente le gambe. Quando in entrambi i sessi spuntano i capelli, aumentano i disturbi nella madre, e nei pleniluni il malessere aumenta; il plenilunio poi è sempre dannoso anche ai nati. Se la donna in attesa mangia cibi molto salati, il bambino nasce senza unghie.
    Osserva poi che tutti gli animali quadrupedi stanno nell'utero distesi, mentre gli animali privi di piedi, come i pesci - per esempio la balena e il delfino che portano i figli nell'utero -, vi stanno girati sul fianco. Invece altri pesci depongono le uova nell'acqua, e perciò amano poco i figli perché poco faticano per essi. Si lamenta infatti Abacuc: «Tu hai fatto gli uomini come i pesci del mare, e come un verme che non ha padrone» (Ab 1,14).
    E gli animali che hanno due piedi stanno nell'utero incurvati, come gli uccelli e l'uomo che appunto stanno nell'utero ripiegati in se stessi: il loro naso sta tra le ginocchia e sopra le ginocchia gli occhi. Infatti le guance derivano il loro nome dalle ginocchia (in lat. genae, guance, da genu, ginocchio); e quando nella preghiera pieghiamo le ginocchia, gli occhi vengono eccitati alle lacrime, come per una certa sintonia affettiva.
    E i loro orecchi sporgono in fuori. E tutti gli animali tengono da principio la testa rivolta in alto; quando poi sono completamente formati e si muovono per venire alla luce, la piegano verso il basso. Siccome la parte superiore del corpo è più pesante di quella inferiore, avviene come nella bilancia, nella quale il piatto più pesante si abbassa verso terra.
    E nell'uomo le mani dell'embrione sono aperte sulle costole; però quando il bambino viene partorito, subito le mani vanno alla bocca.
    Quando la donna è prossima a liberare il grembo ed è giunto il momento del parto, conviene che trattenga al massimo il fiato, poiché lo sbadiglio potrebbe fermare il puerperio, e il ritardo sarebbe mortale. E questo si verifica soprattutto nelle donne che non hanno il torace vasto e quindi non possono trattenere a lungo il respiro. Osserva ancora che in moltissime donne lo stato di salute peggiora durante la gravidanza: e questo avviene perché se ne stanno troppo ferme, e quindi si accumulano in esse molti umori superflui. Invece nelle donne che faticano, la gravidanza non produce tali inconvenienti, e hanno maggiore probabilità di partorire senza ritardi, poiché la fatica consuma gli umori superflui. La fatica è una di quelle cose che fanno traspirare molto, e così la donna nel momento del parto può trattenere il suo respiro; perciò se fa così, il parto sarà svelto e facile; in caso contrario, il parto sarà doloroso, difficile e triste. «La donna, dunque, quando partorisce, è nella tristezza».
13. Senso morale. La donna raffigura l'anima. La grazia dello Spirito Santo è, per così dire, lo sposo, che la ingravida del figlio della benedizione, cioè del proposito della buona volontà e dello spirito della salvezza. Dice Isaia: Di fronte a te, Signore, abbiamo concepito e abbiamo partorito lo spirito della salvezza (cf. Is 26,17-18). Dopo l'ingravidamento l'anima si appesantisce perché si affligge per i peccati; la vista viene indebolita dalla caligine, perché le si offusca lo splendore delle cose temporali. Dice Giobbe: «Si oscureranno le stelle a causa della sua caligine» (Gb 3,9) Le stelle della gloria mondana saranno oscurate dalla caligine della penitenza. Nella gravidanza sopravviene la diminuzione dell'appetito e la nausea, perché l'anima, dopo essere ingravidata dalla grazia di Dio, diviene incapace del male e sente la nausea dei vizi di prima. Dice infatti la sposa del Cantico dei Cantici: Dite al mio diletto che languisco di amore (cf. Ct 5,8). L'uomo languente è debole e ha nausea dei cibi. Così l'anima languisce di amore per lo sposo, quando diviene incapace di fare il male e ha nausea dei vizi praticati prima.
    Il cuore, tra tutti gli organi, si forma per primo. Nel cuore è indicata l'umiltà: nel cuore questa virtù ha la sua dimora preferita. «Imparate da me - dice il Signore - che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29). L'umiltà deve nascere prima di tutte le altre virtù, perché essa è «la forma che riforma le cose deformate». Da essa infatti viene il principio motore di tutte le buone opere, e ha un grande influsso sulle altre virtù, perché di tutte è la madre e la radice.
    Dice infatti Salomone: «Meglio un cane vivo che un leone morto» (Eccle 9,4). E la Glossa commenta: È meglio l'umile pubblicano che il fariseo superbo: il primo, quanto più si è umiliato, tanto più è stato esaltato. E il beato Bernardo: «Quanto più a fondo scaverai le fondamenta dell'umiltà, tanto più in alto salirà l'edificio» [della santità]. L'umiltà è più nobile delle altre virtù, perché con la sua nobiltà sostiene umilmente le cose meno nobili e meno pregiate; dev'essere collocata di preferenza nel posto più alto, cioè negli occhi, e in quello più avanzato, cioè nei gesti del corpo. Dice infatti il vangelo dell'umile pubblicano: «Non osava neppure alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore!» (Lc 18,13).
    Come il cuore non deve avere sofferenze o infermità, così la vera umiltà non può soffrire, cioè non può dolersi dell'ingiuria ricevuta, né star male per la prosperità altrui. E questo è giusto, perché se l'umiltà si falsa, crolla anche l'edificio delle altre virtù. Dice Gregorio: «Chi accumula virtù senza l'umiltà è come colui che getta la polvere contro il vento».
    E in nessun cuore c'è osso, fuorché nel cuore del cavallo e di certe mucche. Nel cavallo è raffigurato l'ipocrita arrogante, nella mucca il lussurioso. Nell'umiltà simulata dell'ipocrita c'è l'osso della superbia e della rapina: infatti si fa bello delle penne dello struzzo e ruba le lodi della santità altrui. Nell'incostante umiltà del lussurioso c'è l'osso della scusa e dell'ostinazione. In questi due animali, il cavallo e la mucca, sono indicate tutte le specie di vizi.
14. Dopo che si è formato il cuore, si forma la parte superiore del corpo. Dopo che nella mente dell'uomo è nata l'umiltà, allora avviene la distinzione tra la parte superiore e quella inferiore, e poiché la parte superiore ha maggiore dignità, essa viene formata per prima, e in essa compaiono prima di tutto il capo e gli occhi. La parte superiore è la vita contemplativa, nella quale compare per primo, e per primo deve comparire, il capo della carità, del quale è detto nel Cantico dei Cantici: «Il suo capo è oro purissimo» (Ct 5,11). L'oro è puro e lucente, e la carità dev'essere pura nei riguardi di Dio e lucente nei riguardi del prossimo.
    Compaiono quindi gli occhi, cioè la conoscenza della felicità eterna. La vita attiva, in quanto parte inferiore, deve fare da serva alla contemplazione, poiché la parte inferiore esiste solo in ordine alla parte superiore. Dice infatti l'Apostolo: Non l'uomo per la donna, ma la donna è stata formata per l'uomo (cf. 1Cor 11,9); perché la vita attiva è stata costituita per servire alla vita contemplativa, e non la contemplativa per servire a quella attiva.
    E come il cervello, organo freddo, è posto in contrapposizione al cuore per temperarne il calore, così la vita contemplativa, che consiste nella compunzione della mente, è posta in contrapposizione alla vita attiva, affinché con la sua preghiera e con la compunzione delle lacrime temperi la febbre dell'attivismo e il fuoco delle tentazioni: e questo deve compiersi con l'umiltà che abita nel cuore.
    E come la grandezza del capo è superiore a quella delle altre membra, così la grazia della contemplazione è più sublime, perché più vicina a Dio, oggetto della contemplazione. Ahimè, quanti bambini, vale a dire quanti incostanti di mente, hanno tentato di reggere la grandezza di questo capo, ma non hanno potuto resistere per lungo tempo, appunto per la sua grandezza. Solo Abramo, cioè il giusto, con il figlioletto, cioè con la purezza della mente, salì al monte della vita contemplativa. Invece i servi restarono nella valle dei piaceri mondani, aspettando insieme con l'asino (cf. Gn 22,3-5), cioè con la lentezza dell'asino.
    E come tutte le membra ricevono dapprima la loro configurazione, le caratteristiche, il colorito, la solidità e la morbidezza, così tutte le virtù devono avere la loro configurazione, i loro confini, affinché progredendo per la via regia non pieghino né a destra né a sinistra, e la crudeltà non rivendichi spazio sotto il pretesto della giustizia, e la neghittosa indolenza non si camuffi col manto della mansuetudine. Devono avere i segni della passione del Signore, per contrassegnare col sigillo della sua croce tutto ciò che facciamo di bene. E il colorito non sia fosco ma vero e autentico, affinché i vizi, tinti del colore delle virtù, non ingannino l'anima. Dice sant'Isidoro: Alcuni vizi presentano l'apparenza di virtù, e perciò ingannano più funestamente i loro seguaci, in quanto si nascondono sotto il velo della virtù. E il Filosofo: Non esiste raggiro più subdolo di quello che si nasconde sotto l'apparenza del dovere. Infatti il cavallo di Troia poté trarre in inganno, in quanto contraffaceva l'immagine di Minerva.
    Le virtù devono avere inoltre la solidità e la morbidezza: vino e olio, verga e manna, schiaffi e mammelle, ferro e linimento.
15. Quando il corpicino prende le caratteristiche del maschio... Nel maschio è raffigurata l'opera virtuosa, nella femmina l'opera effeminata. Quando l'anima concepisce un'opera virtuosa è in stato di benessere perché dispone tutto rettamente e ordinatamente; ed è di colorito buono (sano) perché piace a Dio ed edifica il prossimo. Questo è il maschio che il faraone, cioè il diavolo, vuole annegare nel fiume dell'Egitto (cf. Es 1,22), vale a dire nell'amore di questo mondo. E di questo maschio è detto nel primo libro dei Re: «Signore degli eserciti - disse Anna -, se darai alla tua serva un figlio maschio, lo consacrerò al Signore per tutti i giorni della sua vita» (1Re 1,11). Domanda un figlio maschio, non una femmina. Sapeva infatti che il faraone aveva comandato che le femmine fossero riservate a lui (cf. Es 1,22).
    Quindi nel sesso femminile è raffigurata l'opera della mente effeminata, e quando la misera anima la concepisce, il suo volto si copre di pallore, viene cioè reso brutto dall'amore delle cose terrene; l'anima è frenata da fiacchezza e languore, ed essendo negligente, tiepida e priva di forze, viene distolta dalle opere buone. Questa è la figlia del re dell'Egitto, la quale rese vana la sapienza di Salomone e pervertì il suo cuore facendogli seguire gli dèi stranieri (cf. 3Re 11,34). Ahimè, quanti sapienti, resi tiepidi dall'effeminatezza della mente, si abbandonano ai peccati mortali! Quanti sono i tuoi peccati mortali, tanti sono gli dèi che adori. Dice il beato Bernardo: «Anche se sei sapiente, la sapienza ti manca se non lo sei per il tuo bene».
    Quando i capelli, cioè i pensieri inutili, spuntano nella mente, procurano all'anima un grande danno, perché, come dice Salomone, «i pensieri cattivi allontanano da Dio» (Sap 1,3).
    E quando la donna gravida mangia cibi molto salati, il nato è privo di unghie. Il sale rende sterile il terreno. La moglie di Lot fu trasformata in una statua di sale (cf. Gn 19,26). Il Signore comanda che il sale scipito venga gettato via (cf. Mt 5,13). Il sale in questo passo sta a indicare la vanagloria, che rende sterile ogni opera. Se l'anima che sta per partorire l'erede della vita eterna mangia il sale della vanagloria, la sua opera sarà senza unghie, sarà privata cioè della perseveranza finale e della gloria celeste.
    Inoltre, l'uomo e gli uccelli stanno nell'utero incurvati: il loro naso sta tra le ginocchia, gli occhi sopra le ginocchia e gli orecchi all'infuori. Nel naso è indicata la discrezione, cioè la capacità di giudizio; nelle ginocchia la compunzione delle lacrime e l'afflizione della penitenza; negli occhi l'illuminazione della mente e negli orecchi il comando dell'obbedienza. Gli uccelli e l'uomo raffigurano il proposito della buona volontà: gli uni volano nella contemplazione, l'altro fatica nell'azione. Dice Giobbe: «L'uomo nasce alla fatica, l'uccello al volo» (Gb 5,7). Il suo naso dev'essere tra le ginocchia per poter procedere con discrezione, tenendo il giusto mezzo sia nella compunzione della mente che nella mortificazione del corpo. E gli occhi devono essere sopra le ginocchia per compiere tutte le cose nell'illuminazione di una gioiosa coscienza, poiché il Signore ama chi dona con gioia (cf. 2Cor 9,7); e gli orecchi devono essere tese all'infuori per una spontanea e libera obbedienza, giacché «l'obbedienza - come dice Gregorio - attira a sé tutte le virtù, e attiratele le custodisce».
    Questo figlio dell'anima deve tenere le mani aperte sopra le costole. Le costole sono così chiamate perché custodiscono gli organi interni, e simboleggiano l'umile sentire di sé e il disprezzo del mondo: due virtù queste che custodiscono egregiamente tutte le virtù; su di esse il figlio dell'anima deve tenere aperte e fisse le mani delle opere, per dire con Abramo: «Parlerò al mio Signore, benché io sia polvere e cenere» (Gn 18,27); e con Davide: «Chi perseguiti, o re di Israele? Chi perseguiti? Un cane morto tu perseguiti e una pulce» (1Re 24,15); e con l'Apostolo: «Per me il mondo è stato crocifisso, come io lo sono per il mondo» (Gal 6,14).
    E appena partorito, questo figlio, porta le mani alla bocca. Questo indica che ognuno, memore della sua nascita, deve mettere le mani sopra la sua bocca, per non peccare con la sua lingua, perché, come dice Salomone, chi custodisce le sue labbra, custodisce la sua anima (cf. Pro 21,23).
    «E quando la donna è prossima a liberare il grembo, ed è giunto il momento del parto... «, ecc. «La donna, quando partorisce, è nella tristezza perché è giunta la sua ora». L'ora del parto della donna simboleggia la confessione dell'anima pentita: in quel momento essa deve rattristarsi, prorompere in amari gemiti, dicendo con il Profeta: «Sono stremata dai lunghi lamenti» (Sal 6,7). Osserva che nella donna che sta partorendo si devono considerare quattro momenti: il dolore, il travaglio, la gioia del parto e il compito dell'ostetrica. Queste stesse cose si devono vedere anche nel penitente, del quale la donna che partorisce è figura.
16. Del dolore e del travaglio parla il profeta Michea: «Non hai alcun re, o il tuo consigliere è forse perito, che ti ha presa il dolore come una partoriente? Soffri e datti da fare, figlia di Sion, come una partoriente, perché ora uscirai dalla città e dimorerai nella campagna e andrai fino a Babilonia: lì sarai liberata, lì ti riscatterà il Signore dalla mano dei tuoi nemici» (Mic 4,9-10).
    Gesù Cristo è il re che guida l'anima perché non vada errando; è consigliere perché le consiglia di sperare nella misericordia, e le dice: Soffri, figlia di Sion, cioè anima, con il dolore della contrizione; impegnati nell'opera di soddisfazione (di penitenza) in modo che la pena sia proporzionata alla colpa, perché adesso uscirai dalla città, cioè dalla comunità dei santi, come si fa con i penitenti all'inizio del digiuno quaresimale: infatti il lebbroso abitava fuori dell'accampamento (cf. Lv 13,46); e abiterai nella campagna della dissomiglianza, nella quale il figlio prodigo dissipò le sostanze del padre vivendo dissolutamente (cf. Lc 15,13). Abiterai, o anima, nella campagna per riconoscere la tua dissomiglianza e riacquistare la somiglianza con Dio, secondo la quale sei stata creata; e arriverai fino a Babilonia, cioè alla confusione del peccato affinché, umiliata nel tuo peccato, lo riconosca, e riconosciutolo tu lo pianga, e piangendolo tu riabbia la grazia; lì sarai liberata perché, come dice Agostino, «se tu riconosci, Dio perdona»; lì ti riscatterà Dio dalla mano dei tuoi nemici, perché il turbamento e l'umiliazione per il proprio peccato determinano la cacciata dei demoni.
    Della gioia del parto spirituale dice il Signore: «Grande gioia c'è nel cielo per un peccatore che fa penitenza» (Lc 15,7); e «Rallegratevi con me perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta» (Lc 15,9); e Gabriele nel vangelo di Giovanni: «Molti si rallegreranno della sua nascita» (Lc 1,14). Si legge nella Genesi che «Abramo imbandì un grande banchetto il giorno in cui Isacco fu svezzato» (Gn 21,8). Quando il peccatore viene svezzato, viene cioè staccato dal latte della vita mondana e della concupiscenza carnale, allora Abramo, cioè Dio Padre, imbandisce in cielo un grande banchetto. Infatti dice: Si deve banchettare e rallegrarsi perché questo mio figlio era morto ed è risuscitato, era perduto ed è stato ritrovato (cf. Lc 15,32).
    Sul compito dell'ostetrica, cioè sulla diligenza dei sacerdoti, parla Giobbe: «Con la sua mano in funzione di levatrice, fu estratto il tortuoso serpente» (Gb 26,13). Ostetrica deriva dal lat. obstare, stare davanti, cioè servire. Le ostetriche sono figura del sacerdote, che deve assistere e aiutare i peccatori che si confessano. Per questo è detto: «la sua mano in funzione di ostetrica». La mano del Signore è il sacerdote: con essa dev'essere estratto dal peccatore il serpente, cioè l'uomo vecchio, perché sia poi in grado di partorire l'uomo nuovo. Come al momento del parto avviene alle donne in certe regioni - almeno così si racconta -, che espellono un rospo prima del bambino, così deve fare anche il penitente: prima di tutto con la confessione espelle l'uomo vecchio, poi finalmente partorisce in sé l'uomo nuovo. E se vuole partorirlo con maggiore facilità e tranquillità, si guardi bene dallo sbadigliare.
    Sbadiglia colui che confessa la storia dei suoi peccati con tiepidezza e quasi dormendo. Sbadiglia colui che, impedito dalla vergogna, non manifesta il peccato che aveva promesso di confessare. Dice perciò Isaia: «I figli sono stati portati fino al parto, ma poi non ci fu più la forza di partorirli» (Is 37,3). E ciò avviene quando il peccato è già sulla bocca, ma per la vergogna la bocca non si apre alla confessione, e così l'infelice anima muore. Se avesse sofferto e avesse faticato, senza dubbio ora sarebbe lieta per il parto.
    Ma a motivo dell'inazione e della tiepidezza, per cui si accumula nell'anima un eccesso di pensieri cattivi, la sua disposizione peggiora e nel parto corre gravi rischi. Dice Girolamo: Bisogna fare sempre qualcosa perché, se la mano si ferma, il campo del nostro cuore viene invaso dai rovi dei cattivi pensieri. E Isidoro: La libidine brucia più intensamente se trova uno in ozio. Invece nell'anima veramente pentita c'è il dolore e la fatica, e quindi il parto della confessione è rapido e facile. Infatti la fatica consuma gli umori superflui ed è una di quelle cose che fanno traspirare abbondantemente. Infatti dice la Genesi: «Col sudore del tuo volto mangerai il tuo pane» (Gn 3,19). Il volto è così chiamato perché in esso si manifesta la volontà dell'animo (lat. vultus, voluntas). Nel volto del vero penitente si manifesta il dolore della contrizione e scorrono le lacrime dell'amarezza, come fosse il sudore del corpo, e lì c'è il pane e il nutrimento dello stesso penitente.
    Giustamente quindi è detto: «La donna quando partorisce è nella tristezza; ma quando ha partorito il figlio non si ricorda più del travaglio, a motivo della gioia che la ricolma» (Gv 16,21), cioè a motivo della gloria eterna. Infatti dice Isaia: «Le precedenti tribolazioni sono state dimenticate e non ritorneranno ad opprimere il cuore: ma godrete ed esulterete per sempre» (Is 65,16-18).
    Dalla tristezza di questo mondo si degni di guidarci a quel gaudio, colui che con il Padre e lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.