Sermoni Mariani

PURIFICAZIONE (II) DELLA BEATA VERGINE MARIA

1. "Quando venne il tempo della purificazione di Maria secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore... " ecc. (Lc 2,22).
    In questo vangelo consideriamo tre eventi: - la presentazione di Gesù al tempio, - il compimento delle attese del giusto Simeone, - la sua benedizione profetica.

2. "Quando venne il tempo della purificazione di Maria", ecc. Su questa prima parte del vangelo si possono fare tre applicazioni morali e considerare: la purificazione dell'anima, l'oblazione della stessa, e da ultimo il suo ingresso nel tempio del cielo.
    Ma prima di tutto sentiamo la Scrittura: "Il Signore parlò a Mosè (Lv 12,1-2): Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni", ad eccezione di colei che partorisce restando vergine. Quindi né il Figlio né la Madre avevano bisogno di essere purificati con sacrifici, ma lo fecero solo perché noi fossimo liberati dal timore della legge, cioè dalla osservanza della legge, alla quale si ottemperava solo per paura.
    Era stabilito che all'ottavo giorno (dalla nascita) il bambino fosse circonciso, e che trentatré giorni dopo la circoncisione fosse portato al tempio e che per lui fossero offerti dei sacrifici, cioè un agnello di un anno. Ma chi non aveva la possibilità di avere un agnello, offriva due tortore, oppure due piccoli colombi. Inoltre, Giuseppe [Flavio] scrive: Il primogenito veniva riscattato con cinque sicli.
    La Vergine Maria, essendo poverella, fece l'offerta dei poveri per il figlio povero, perché in tutto si manifestasse chiaramente l'umiltà del Signore.
    Là dove è detto: "Ogni maschio primogenito", ecc. (Lc 2,23), la legge va intesa secondo quanto è detto nel libro dell'Esodo: "Tu riserverai per il Signore ogni primogenito del seno materno; ogni primo parto del bestiame, se di sesso maschile, appartiene al Signore" (Es 13,12). Perciò i primogeniti dei figli di Levi venivano offerti al Signore [e non venivano riscattati], ed erano addetti in permanenza al suo servizio. I primogeniti degli altri venivano offerti e riscattati. I primogeniti del bestiame, adatti ad essere immolati, costituivano le offerte destinate ai sacerdoti. Dei primi nati degli animali immondi, non offerti, alcuni venivano riscattati, come per es. il primo nato dell'asino che veniva sostituito con l'offerta di una pecora; altri non erano neppure riscattati, ma venivano uccisi, come per es. il primo nato del cane.
3. "Quando venne il tempo della purificazione di Maria". Maria, nome che significa "illuminata", o "mare amaro", oppure anche "signora", raffigura l'anima del giusto, illuminata nel battesimo; è mare amaro per la contrizione del cuore e le afflizioni del corpo, e sarà signora nel Regno, quando sarà unita all'eterno Sovrano.
    Ma nel frattempo, mentre è nell'esilio, ha bisogno di purificazione, perché si macchia di molte impurità. Infatti dice l'Ecclesiastico: "Mòndati offrendo le spalle (delle vittime), e della tua negligenza purìficati con i pochi" (Eccli 7,33-34). Purificare significa lasciare il suolo pulito, dopo aver rimosso ogni immondezza. Purìficati, in anticipo, cioè prima di venir giudicato, offrendo le spalle, cioè con le opere di misericordia; e della negligenza nei riguardi dei comandamenti purìficati con "i pochi": sono pochi infatti coloro che si preoccupano di purificarsi da tali negligenze.
    Si legge nella Storia Naturale che le colombe rimuovono e gettano fuori dal nido lo sterco dei loro piccoli e il nido lo tengono pulito; e quando i piccoli crescono insegnano loro a fare altrettanto. Così anche i giusti purificano le loro impurità e quelle dei loro sudditi, e insegnano loro a fare altrettanto. Leggiamo infatti in Geremia: "Insegnate alle vostre figlie il lamento, l'una all'altra il canto di lutto; perché la morte è entrata per le nostre finestre, si è introdotta nelle nostre case" (Ger 9,20-21). È come se dicesse: Il peccato mortale entra nella anima attraverso i sensi del corpo, ma viene rigettato per mezzo della medicina, ossia con il lamento della penitenza. Quando uno si sente appesantito da cibi malsani, per liberarsi prende la purga. E dice in merito l'Ecclesiastico: "Il Signore ha creato medicamenti dalla terra e l'uomo assennato non li disprezza" (Eccli 38,4). La terra è la carne nostra; i medicamenti raffigurano la penitenza.
    Dalla carne del serpente chiamato tiro, si ricava la teriaca (contravveleno), e dalla nostra carne viene la medicina dell'anima, cioè la penitenza. E l'uomo prudente, quando si sente oppresso dalla pestilenza del peccato, non si rifiuta mai di prendere quella medicina (la penitenza), per quanto sia amara, perché attraverso l'assunzione della bevanda amara si arriva alla gioia della guarigione. È una grande stoltezza perdere la salute e rischiare la morte, rifiutando un po' di amarezza. Leggiamo nel libro dei Proverbi: "Robaccia, robaccia!, ripete chi compra; ma mentre se ne va, allora se ne vanta" (Pro 20,14). Anche l'ammalato ripete: "Questa bevanda è troppo disgustosa da bere" (Is 24,9); ma quando la malattia se n'è andata, allora se ne glorierà. E così fa anche il peccatore che dice: La penitenza è amara; ma quando l'anima sarà purificata dalla colpa, allora ne porterà vanto nella gloria celeste.
4. "Quando venne il tempo della purificazione di Maria". L'anima così purificata, così detersa, deve offrire "un paio di tortore, oppure due giovani colombi" (Lc 2,24). Nelle due tortore sono raffigurate due specie di castità; nei due giovani colombi due specie di compunzione (pentimento). Li tratteremo entrambi.
    La tortora, a motivo del suo canto, viene chiamata uccello pudìco. Se rimane senza il suo compagno, non si unisce ad altri, ma se ne vaga soletta e gemente. Ama la solitudine. D'inverno scende nelle convalli e si rifugia, quasi spoglia di penne, nelle cavità degli alberi; d'estate invece risale in montagna e lì si cerca una dimora. Allo stesso modo, il vero penitente, purificato con la mortificazione della mente e del corpo, non tollera più alcuna convivenza con il peccato mortale, perché, come dice Isaia, "Troppo corto sarà il letto per distendervisi, troppo stretta la coperta per avvolgervisi" (Is 28,20). È come se dicesse: La coscienza del giusto è così stretta per il timore di Dio, che il diavolo non vi trova posto per il riposo, perché i santi, come dice Giobbe, "che imprecano al giorno", cioè alla prosperità mondana, "sono pronti ad evocare il Leviatan" (Gb 3,8); e la coperta della grazia divina, benché sia molto grande, sembra al giusto sempre corta e stretta, sì da non poter coprire due persone, cioè lo sposo e l'adultero, vale a dire Cristo e il peccato mortale.
    Inoltre il giusto, mentre vive in questo corpo, è in esilio lontano dal Signore (cf. 2Cor 5,6), è privato cioè del suo diletto; e perciò vaga solitario, non si confonde con la turba turbata (agitata), ma cammina gemendo e dice: "Signore, davanti a te ogni mio desiderio, e il mio gemito a te non è nascosto" (Sal 37,10); ama la solitudine della mente e del corpo, e quindi dice: "Ecco, errando fuggii lontano e abitai nel deserto" (Sal 54,8). Durante l'inverno della misera condizione presente, privo delle penne delle cose temporali, si accontenta delle cose umili; ma quando giungerà l'estate dell'eterno splendore, allora se ne volerà alle altezze della patria celeste.
    La colomba ha come canto il gemito, perché tutto il suo interno è pieno di fiele, e quindi sembra che si lamenti per l'eccesso di amarezza. Alcuni tuttavia sostengono che la colomba è priva del fiele: infatti non lo ha nello stesso posto degli altri uccelli. Non ferisce nessuno; non si ciba di cose morte; nutre i piccoli degli altri; sceglie sempre il grano puro; si ferma sopra le acque correnti per difendersi dall'avvoltoio; fa il nido nelle fenditure della roccia. Così il penitente prorompe in gemiti di dolore, perché è tutto pieno dell'amarezza della contrizione. Infatti dice: "Pìgolo come un rondine, gemo come una colomba" (Is 38,14).
    Leggiamo nella Storia Naturale che se a un rondinino vengono cavati gli occhi, gli si riformano. Il penitente, avendo perduto l'occhio dell'amore divino, si lamenta e implora di ricuperarlo. Egli, nell'amarezza della sua anima, ripensa agli anni della sua vita (cf. Is 38,15), non rende male per male; non vive delle cose morte della rapina, anzi dà il suo agli altri; si sforza di strappare i peccatori al diavolo e li nutre con il cibo di vita eterna; sceglie solo il grano puro della fede cattolica; sosta sulle acque correnti delle lacrime per difendersi dagli inganni del diavolo; si rifugia nelle piaghe di Cristo, nelle quali costruisce il nido della speranza e ripone i suoi piccoli, cioè le sue opere buone.
    La Glossa fa qui un'applicazione diversa: "Chi non dispone di un agnello [per il riscatto], cioè delle ricchezze di una vita innocente, ricorra alle lacrime della compunzione, che sono raffigurate nei gemiti della tortora e della colomba. Ci sono due specie di compunzione: quella causata dalla paura dei castighi minacciati per i peccati, e quella che sentiamo quando, ardendo di desiderio dei beni celesti, gemiamo perché ci vengono dilazionati. E quindi ci è comandato di offrire due tortore o due piccoli colombi: uno in olocausto, quando siamo infiammati di amore per i beni celesti; l'altro per il peccato, quando piangiamo per le colpe commesse.
    Parimenti "i primogeniti" raffigurano il buon inizio della nostra attività, che portiamo per così dire nel cuore e che dobbiamo attribuire alla grazia di Dio. Invece le opere cattive, siamo esortati ad espiarle con i frutti della penitenza. Infine, i cinque sicli, con i quali riscattiamo il nostro primogenito, consistono nel dolerci del nostro passato, nell'esporlo chiaramente nella confessione, nel partecipare alle sofferenze del prossimo, nel temere tutte le cose del mondo, e nel perseverare sino alla fine.
    Chi sarà purificato in questo modo, chi sarà offerto con tali sacrifici e riscattato con questo prezzo, senza dubbio sarà accolto per mano degli angeli nel tempio del cielo.
5. "A Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone" (Lc 2,25). Simeone si interpreta "che ascolta l'afflizione" (cf. Gn 29,33), e sta ad indicare il penitente che, sia che mangi, sia che beva, sia che faccia qualunque altra cosa, sempre sente quella voce terribile che dice: "Risorgete, o morti, e venite al giudizio!", e dice con Giobbe: "Io ti sentivo con l'udito dell'orecchio, ma ora ti vedo con i miei occhi. Perciò mi ricredo e faccio penitenza su polvere e cenere" (Gb 42,5-6). Osserva che non è detto "con l'orecchio", ma "con l'udito dell'orecchio". Lo stolto, come l'asino, sente solo il suono della parola di Dio; invece il saggio ne percepisce la forza e la conserva nel cuore.
    Si legge nella Storia Naturale che se le orecchie dei cervi sono rizzate, essi hanno un udito finissimo; se invece sono penzoloni, non sentono niente. Coloro che sono del mondo, rivolgono gli orecchi al mondo e quindi non sono in grado di ascoltare le cose di Dio. "Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio" (Gv 8,47). Invece i giusti, essendo da Dio, rivolgono l'udito verso l'alto per sentire l'afflizione. "L'afflizione è un dolore silenzioso" (Isidoro). "Con l'udito dell'orecchio ti ho sentito" che predicavi: "Fate penitenza!" (Mt 4,17). "Ma ora ti vedo con i miei occhi" pendere dalla croce. E anche: "Ti ho sentito" affermare nel giudizio: "Ebbi fame, e mi avete dato da mangiare... " (Mt 25,35); "ora il mio occhio ti vede" seduto, in aspetto terribile, sul trono della tua maestà, "e quindi mi ricredo", mi accuso nella confessione "e faccio penitenza" nell'umiliazione della mente e nell'afflizione del corpo.
    Il giusto Simeone è a Gerusalemme, perché la sua patria è nei cieli. Egli era un "uomo giusto e timorato, che aspettava il conforto di Israele, e lo Spirito Santo era in lui" (Lc 2,25-26). È detto "giusto" perché rispettava i diritti altrui e viveva secondo la legge. Il timore servile consiste nell'astenersi dal male per paura del castigo, e non per il piacere della giustizia. L'amore scaccia il timore, quando l'iniquità non attira, neppure se le viene assicurata l'impunità. Il timore casto invece è quello che ha l'anima di perdere la grazia stessa: quella grazia che ha fatto sì che essa non trovi più piacere nel peccare; è il timore che la grazia l'abbandoni, anche se non sarà punito con nessun castigo. L'amore non scaccia mai questo timore, perché esso dura per sempre (cf. Sal 18,10). Coloro che sono ancora pellegrini devono avere il timore più grande; minore sarà quello dei proficienti, di coloro cioè che sono vicini alla mèta; nullo, quello di coloro che vi sono arrivati. Il penitente dunque è giusto verso se stesso, timorato nei riguardi di Dio, e nel timore filiale aspetta non tanto la sua consolazione, quanto quella del prossimo. E così la grazia dello Spirito Santo è in lui e dalla sua ispirazione riceve la promessa sicura, che non vedrà l'eterna morte ma contemplerà Cristo faccia a faccia."Mosso dunque dallo Spirito, Simeone si recò nel tempio" (Lc 2,27). Tempio significa "tetto ampio": il tetto protegge, e in quanto ampio accoglie le moltitudini. Il tempio raffigura l'amore di Dio e del prossimo: l'amore di Dio protegge, l'amore del prossimo accoglie. In tale tempio nessuno può entrare se non in spirito: non nella carne, perché è lo spirito che vivifica, "e lo Spirito è Dio" (Gv 4,24); la carne invece non giova a nulla (cf. Gv 6,64).
6. E continua Luca: "E mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù, per adempiere nei suoi riguardi la legge..." (Lc 2,27). Osserva che dice "il bambino Gesù" (puerum Iesum) e non "Gesù bambino" (Iesum puerum). Commenta la Glossa: Poiché la puerizia incomincia dopo i sette anni dell'infanzia, Gesù viene chiamato spesso puer (servo) non tanto per l'età quanto per il servizio. Infatti dice il profeta: "Ecco il mio servo" (Is 42,1; Mt 12,18); perché "il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire" (Mt 20,28). Per noi quindi fu innanzitutto servo, che a noi ha servito, secondo quanto dice Isaia: "Mi hai fatto servire nei tuoi peccati, mi hai stancato con le tue iniquità" (Is 43,24). Per trentatré anni ci ha servito fedelmente; poi ha sofferto tanto da effondere sudore di sangue, e finalmente per nostro amore ha affrontato la morte.
    O carissimi, quale ricompensa potremo dare a un servo così fedele? "E che cosa mai potrà essere adeguato ai suoi servizi?" (Tb 12,2). Certo potremmo dirgli come Tobia a Raffaele: "Anche se io mi consegnassi a te come schiavo, non potrei ripagare degnamente i tuoi benefici" (Tb 9,2). E, infelici noi, quale ricompensa gli abbiamo dato? Ce lo dice egli stesso: "Mi rendevano male per bene, una desolazione per la mia anima" (Sal 34,12), perché non abbiamo permesso che il sangue della sua passione facesse frutto in noi. Per questo [Gesù] ha dato la sua anima, per conquistare la nostra; ma noi lo priviamo di questo frutto [della sua passione], quando con il peccato mortale diamo l'anima nostra al diavolo.
    Giustamente quindi dice "il servo Gesù" (puerum Iesum), perché prima ci ha serviti e poi ci ha salvati. E nessuno mai sarà Gesù, cioè salvo, se prima non è stato puer, cioè servo.
7. "Simeone lo prese tra le sue braccia" (Lc 2,28). O grande umiltà del Salvatore! Colui che è non contenuto dallo spazio, è sorretto dalle braccia di un vegliardo. Il vecchio uomo prende il bambino, insegnandoci a spogliarci dell'uomo vecchio, che si corrompe, e a indossare quello che è stato creato secondo Dio (cf. Col 3,9-10). Porta Cristo tra le braccia, colui che accoglie la parola di Dio non soltanto con la bocca ma con le opere della carità, come faceva Giobbe, quando diceva: "Lacero la mia carne con i miei denti e porto nelle mie mani la mia vita" (Gb 13,14). I denti, così chiamati perché in certo modo dividono (dividenti), sono i rimproveri e le accuse della confessione, con le quali il giusto lacera le sue carni, cioè i suoi peccati carnali, e in questo modo porta la sua anima con le mani delle sue opere, pronto a restituirla al suo Creatore, in qualunque momento gliela domandi; e allora con Simeone benedirà Dio: "Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola" (Lc 2,29).
    Il servo che ha servito a lungo e che a lungo ha faticato, viene dal Signore mandato in pace secondo la parola della pace. Anche Stefano "si addormentò nel Signore" (At 7,60). Questa infatti è la parola del Signore: Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi, e vi farò riposare (cf. Mt 11,28). Perciò secondo la tua parola, lascia ora andare in pace il tuo servo. Ecco il puer e Gesù, ecco il servo e la salvezza, perché è mandato in pace. Ora lasciami andare, perché finora ho faticato, fino ad ora ho aspettato, ma ora, cioè alla fine della mia misera condizione presente, lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace.
    A proposito leggiamo in Giobbe: "Chi lasciò libero l'ònagro, l'asino selvatico, e chi ha sciolto i suoi legami? Ad esso ho dato per casa la solitudine, per dimora la terra salmastra" (Gb 39,5-6). L'asino selvatico è il penitente, al quale Dio nello stato presente di miseria dà la casa nella solitudine della mente e una dimora da battaglia, da dove combatte ed è combattuto nell'amarezza del cuore. Di queste due cose dice Geremia: Spinto dalla tua mano sedevo solitario, perché mi avevi riempito di amarezza (cf. Ger 15,17). Colui al quale Dio dà tali cose in questa vita, in morte lo manda libero dalla colpa e gli scioglie le catene del castigo. "Ora lascia, dunque, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola".
8. "Perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza" (Lc 2,30). Osserva che Dio si vede in tre modi: in questa vita si vede con la fede, e si vede con la contemplazione; nella patria si vedrà faccia a faccia. Abbiamo quaggiù tre elementi: l'aria, l'acqua, la terra. Ci dice la Storia Naturale che gli uccelli, che volano nell'aria, hanno bisogno di una vista acuta, perché così, anche da grande altezza possono cercare e vedere il loro cibo. Gli occhi dei pesci invece sono umidi (bagnati), perché è necessario che abbiano una visuale larga a motivo dello spessore delle acque. Invece "i volatili" che non volano, che restano sempre a terra, come la gallina e simili, non hanno bisogno di vista molto acuta.
    Gli uccelli dell'aria sono figura delle schiere angeliche in cielo, che nelle altezze della patria celeste con vista acuta e penetrante contemplano Dio, loro cibo, "nel quale - è detto - gli angeli desiderano fissare lo sguardo" (1Pt 1,12). I pesci nelle acque sono in contemplativi in pianto. Gli occhi bagnati sono le contemplazioni dell'anima devota: essi hanno una vista ampia, a motivo dello spessore delle acque, cioè della stessa contemplazione; essa infatti è così inaccessibile che non può essere penetrata se il contemplativo non è dotato di una vasta visuale di devozione. Solo allora i suoi occhi vedono la salvezza di Dio. I volatili che restano a terra raffigurano coloro che fanno vita attiva; essi, come le galline, nutrono i loro piccoli. Costoro non hanno una vista molto acuta: pur tuttavia anch'essi vedono la salvezza di Dio."Che hai preparato davanti a tutti i popoli" (Lc 2,31). Concorda Isaia dove dice: "Il Signore ha preparato il suo santo braccio davanti agli occhi di tutte le genti" (Is 52,10). Il braccio del Padre è il Figlio, che è pronto ad abbracciare il figlio pròdigo che ritorna a lui. Dice Luca: "Gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò" (Lc 15,20).
    Nella prima venuta, il Padre presentò il Figlio a tutti i popoli, perché credessero in lui e lo amassero; nella seconda venuta lo presenterà perché ogni popolo lo veda (cf. Ap 1,7), ed egli renda a ciascuno secondo le sue opere (cf. Mt 16,27; Rm 2,6)."Luce" è il Salvatore stesso, per mezzo della grazia, nella vita presente, "per illuminare le genti" (Lc 2,32). Per questo il Padre, per bocca di Isaia, dice: "Ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi" (Is 42,6-7); e Giobbe: "Strappa i segreti alle tenebre, porta alla luce l'ombra della morte" (Gb 12,22). Questo bambino che è luce nella vita presente, sarà in futuro "la gloria del suo popolo, Israele" (Lc 2,32), cioè di coloro che vedono Dio.
    Si degni di darci questa gloria colui che è benedetto nei secoli. Amen.
 
9. "L'ape è piccola tra gli esseri alati, ma il suo prodotto detiene il primato tra tutti i dolci sapori". È una sentenza dell'Ecclesiastico (Eccli 11,3).
    La Storia Naturale dice che l'ape genera senza amplesso, perché è insita in essa la facoltà di generare. L'ape di buona razza è piccola, rotonda, solida e compatta. L'ape è più linda degli altri volatili, e perciò il cattivo odore la infastidisce, mentre quello buono l'attrae. Non fugge alcun animale, e quando vola non cerca fiori diversi, e non passa da un fiore all'altro saltandone qualcuno, ma secondo il suo bisogno fa la raccolta da un fiore e poi ritorna all'alveare. Il suo cibo è il miele, perché vive di ciò che produce. Fa la casa nella quale possa abitare il re (la regina) delle api. E sulle pareti dell'alveare incomincia a costruire dall'alto, e non cessa mai di lavorare, scendendo a poco a poco finché arriva fino alla parte più bassa.
    Così la Vergine Maria, nostra Signora, generò il Figlio di Dio senza carnale congiungimento, perché lo Spirito Santo scese su di lei e la potenza dell'Altissimo stese su di lei la sua ombra (cf. Lc 1,35). Questa buona ape fu piccola per l'umiltà, rotonda per la contemplazione della gloria celeste che non ha principio né fine, solida per la carità - colei che per nove mesi portò in grembo l'Amore non poteva essere senza amore -, compatta per la povertà, più pura di tutti per la verginità. Perciò il fetido odore della lussuria, non si dovrebbe neanche dirlo, le fa ribrezzo, mentre la delizia il soave profumo della purezza e della castità. Quindi, chi desidera piacere alla beata Vergine Maria fugga la lussuria e pratichi la purezza. Non rifugge da alcun animale, cioè da nessun peccatore, anzi accoglie tutti coloro che si rivolgono a lei, e per questo è chiamata Madre della misericordia: misericordia ai miseri, speranza ai disperati.
    Dice lo sposo del Cantico dei Cantici: "Io sono il fiore del campo, il giglio delle convalli" (Ct 2,1). La Vergine Maria scelse, tralasciati tutti gli altri, questo fiore, a lui si unì e da lui ebbe tutto ciò di cui abbisognava. E Nazaret, dove concepì, si interpreta "fiore", e quello fu il luogo che scelse fra tutti. Infatti il fiore che germoglia dalla radice di Iesse ama la patria che produce fiori. Il nutrimento della Vergine Maria è il Figlio suo, miele degli angeli, dolcezza di tutti i santi. Viveva di colui che nutriva, e colui al quale lei offriva il latte, dava a lei la vita.
    Questa buona ape preparò la casa, cioè la sua anima, con l'umiltà, il suo corpo con la verginità, affinché in quella casa potesse dimorare il Re degli angeli. Osserva che l'ape incomincia a costruire dall'alto. Anche Maria incominciò a costruire non dal basso, cioè davanti agli uomini, ma dall'alto, al cospetto della divina Maestà; e a poco a poco, con discrezione e ordine, giunse ad essere conosciuta dagli uomini: e così colei che già era eletta al cospetto di Dio, divenne mirabile anche davanti a tutti gli uomini.
10. "Piccola tra gli esseri alati è l'ape". Pur rifulgendo nella Vergine Maria moltissime virtù e tutte in sommo grado, l'umiltà fu di tutte la più grande. Perciò, quasi dimentica delle altre, manifesta prima di tutto l'umiltà, quando dice: "Ha guardato all'umiltà della sua serva" (Lc 1,48); per questo è detto: piccola tra gli esseri alati. Gli esseri alati, cioè i suoi meriti, volano fino al più alto dei cieli. Infatti è detto di lei: "Molte figlie hanno compiuto cose eccellenti", hanno cioè praticato le virtù, "ma tu le ha superate tutte" (Pro 31,29), perché più di tutte sei volata in alto. E pur essendo ricolma della ricchezza di tante virtù ed esaltata per l'abbondanza di tanti meriti, fu piccola, cioè umile, la nostra ape, che come oggi, nel tempio, offrì a Dio Padre il favo, cioè il Verbo incarnato, colui che è Dio e uomo.
    Nel favo c'è il miele e la cera, in Gesù bambino la divinità e l'umanità. La Storia Naturale ci dice che il miele buono viene dalla cera nuova, e che il miele buono è simile all'oro. La cera nuova è la carne di Cristo, presa dalla carne purissima della Vergine gloriosa: in essa c'è il miele della divinità, indicata dall'oro. Infatti sta scritto: "Il capo dell'amato è oro purissimo" (Ct 5,11). "Capo di Cristo è Dio" (1Cor 11,3). E quindi noi oggi portiamo in processione le candele, accese al nuovo fuoco, quasi ripetendo quella processione che come oggi fecero Maria e Giuseppe, portando al tempio Gesù bambino, e Simeone e Anna profetando e cantando lodi.
    Di questa processione dice il salmo: "Misericordia e verità si incontrarono, giustizia e pace si baciarono" (Sal 84,11). La misericordia della nostra salvezza è nel Redentore; la verità della promessa è in Simeone, al quale lo Spirito Santo aveva promesso che non avrebbe visto la morte prima di vedere Cristo Signore (cf. Lc 2,26); la giustizia (la santità) è in Maria e Giuseppe; la pace nella profetessa Anna, la quale non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere (Lc 2,37). Ecco quindi che oggi la misericordia andò al tempio e la verità le andò incontro, perché Simeone accolse Gesù bambino, e lì la giustizia e la pace si sono baciate. Nel bacio si devono notare l'unità e la concordia: ciò che Maria e Giuseppe credevano, anche Anna lo professò, e così furono uniti in un solo spirito.
    Osserva inoltre che nella candela ci sono tre elementi: la cera, lo stoppino e la fiamma. La cera è la carne di Gesù Cristo, lo stoppino è la sua passione, la fiamma di fuoco è la potenza della sua divinità. "Adorna la tua dimora, o Sion, e accogli Cristo, il tuo Re" (Liturgia della Purificazione), perché come oggi lo raffiguri nella candela, così tu lo possa portare anche nell'anima tua. Nella cera è raffigurata la purezza dello spirito, nello stoppino l'infermità della carne, nella fiamma l'ardore della carità. Chi porta la candela con questi sentimenti, rivive degnamente l'evento. Perciò gloria e onore all'Ape vergine, che oggi ha offerto a Dio Padre il Favo.
    Di lui si dice inoltre: "Il suo prodotto detiene l'inizio della dolcezza". Il prodotto dell'ape simboleggia il Figlio della Vergine. Sta scritto: "Benedetto il frutto del tuo ventre" (Lc 1,42), e "Il suo frutto è dolce al mio palato" (Ct 2,3). Questo frutto detiene l'inizio della dolcezza, ma ne detiene anche il centro e la fine, perché fu dolce nel grembo, dolce nel presepio, dolce nel tempio, dolce in Egitto, dolce nel battesimo, dolce nel deserto, dolce nella parola, dolce nel miracolo, dolce in sella all'asinello, dolce nella flagellazione, dolce sulla croce, dolce nel sepolcro, dolce negli inferi, e infinitamente dolce sarà nella gloria del cielo.
    O dolce Gesù, che cosa è più dolce di te? Dolce è il tuo ricordo, più del miele e di tutte le altre dolcezze. Il tuo è nome di dolcezza, nome di salvezza. Che cosa significa Gesù, se non Salvatore? O buon Gesù, proprio per te stesso sii a noi Gesù, affinché tu che ci hai dato l'inizio della dolcezza, cioè la fede, ci dia anche la speranza e la carità, affinché vivendo e morendo in esse, meritiamo di arrivare fino a te.
    Per le preghiere della Madre tua, concedici questo tu, che sei benedetto nei secoli. Amen.
11. "Tra i volatili piccola è l'ape". Il nome ape deriva da a privativo, che significa senza, e pes, piede, per il fatto che sembra nasca senza piedi. Oppure le api si chiamano così perché si allacciano tra di loro con i piedi.
    Dice la Storia Naturale che l'ape piccola è più laboriosa, e ha quattro ali sottili, il suo colore è scuro, ed è come bruciata. Le api ornate [più belle] appartengono al numero di quelle che non fanno niente: stanno da sole in disparte, cercano la solitudine e non fanno nulla di buono. Le api operaie raccolgono i fiori del salice, strofinano con essi la superficie dell'alveare, e lo fanno unicamente per eliminare gli animali nocivi; e se l'ingresso all'alveare è largo, lo restringono. Durante l'inverno stanno bene in un posto caldo, in estate preferiscono un luogo fresco. E sentono l'arrivo dell'inverno e della pioggia, e ciò si desume dal fatto che in queste circostanze non vanno fuori e non si allontanano, ma volano solo tra gli alveari. E gli apicoltori capiscono da questo quando sta per arrivare la pioggia. Osserva inoltre che tre cose soprattutto nuocciono alle api: il vento, il fumo e gli insetti. Quando si alza un forte vento, le api-custodi chiudono le aperture degli alveari, perché il vento non entri. Chi vuole togliere il miele alle api, le affumica, perché dal fumo vengono stordite. In fine, vengono danneggiate dagli insetti e altri animaletti: se le api sono robuste li ammazzano e li allontanano dall'alveare; le altre api, quelle deboli, per i danni che subiscono da tali insetti, vengono frenate nella loro attività. Consideriamo questi fatti singolarmente.
    L'ape è figura del giusto, i cui piedi sono i sentimenti di amore, infusi in lui non dalla natura ma dalla grazia, giacché per natura siamo tutti figli dell'ira (cf. Ef 2,3). Da questi sentimenti sono legati vicendevolmente i giusti, e quindi l'Apostolo può dire: "Gareggiate nello stimarvi a vicenda" (Rm 12,10). E nell'Apocalisse è scritto che "i piedi dell'angelo erano come colonne di fuoco" (Ap 10,1). Così i sentimenti del giusto, del cristiano, devono essere colonna che sostiene la fragilità degli altri, fuoco per infiammarli dell'amore di Dio.
    L'ape piccola, cioè il giusto umile, è in grado di compiere opere più grandi. Nel primo libro dei Re, leggiamo che Davide dice: "Io, tuo servo, ho abbattuto il leone e l'orso" (1Re 17,36). Chi si proclama servo si dimostra umile. Nel leone è raffigurata la superbia, nell'orso la lussuria. Quanta fatica sia distruggere in se stessi questi due vizi, lo sa chi l'ha provato. E osserva che è nominato prima il leone, perché se prima non è estirpata dal cuore la superbia, non può esser vinta la lussuria della carne. Le quattro ali del giusto sono il disprezzo di sé, il rifiuto del mondo, lo zelo per il prossimo e il desiderio del Regno; oppure sono anche le quattro virtù principali [cardinali], con le quali il giusto si eleva dalla terra e penetra nelle profondità dei cieli. Il suo colore è scuro, come bruciato; a questo proposito leggiamo nelle Lamentazioni: "Il loro volto si è fatto più nero del carbone, e nelle piazze non vengono più riconosciuti" (Lam 4,8). Il carbone spento è il povero di Cristo: il suo volto si è annerito per la fame e la sete, la fatica e il sudore, e quindi nella piazza del mondo, che è la gloria umana, non è più riconosciuto.
    Le api ornate sono i religiosi vani e gli ipocriti, che si gloriano di un'onestà esteriore e dell'osservanza delle loro tradizioni, vivono in disparte, cercano la singolarità, e quindi nulla fanno di buono, perché vogliono piacere agli uomini.
    Poi ci sono le api operaie, che strofinano gli alveari con i fiori del salice. Nel salice è raffigurata l'amarezza dell'astinenza, delle veglie e delle lacrime, con le quali i penitenti affliggono il loro corpo e quasi lo ungono, per proteggerlo dagli animali nocivi, cioè dalla lussuria e da tutto ciò che induce al male. Le persone carnali si cospargono di miele, cioè dei piaceri temporali, e perciò vengono assaliti da sciami di mosche, che sono i cattivi pensieri e le tentazioni, mentre questi insetti rifuggono dai giusti perché essi sono cosparsi di amarezza. "La nostra carne non ha avuto sollievo alcuno" (2Cor 7,5), afferma l'Apostolo. E se le aperture dell'alveare, cioè i sensi del corpo, sono larghe e aperte per la lascivia e la curiosità, le restringono e le riducono. "Chiusa la porta - cioè i sensi -, entra nella stanza della coscienza e lì prega il Padre tuo" (Mt 6,6).
    In inverno, cioè nel tempo dell'avversità, è adatto ai giusti un luogo caldo, vale a dire un animo energico, affinché le avversità non li abbattano; nell'estate invece, cioè nel tempo della prosperità, è più adatto loro un luogo fresco, cioè un animo costante e risoluto, affinché la prosperità non li gonfi e li porti alla rovina. Infatti il calore dissolve, mentre il freddo restringe e consolida.
    Sentono l'arrivo dell'inverno e della pioggia, vale a dire prevedono le tentazioni. In Giobbe così è detto del cavallo, cioè del giusto: "Da lontano fiuta la battaglia, gli urli dei capi e il fragore della mischia" (Gb 39,25). I capi sono le tentazioni subdole, che sotto l'apparenza della virtù hanno l'aria di esortare alla ragionevolezza; l'esercito è l'appetito carnale, che come un lupo ulula sfrontatamente. Ma il giusto, con l'olfatto della discrezione, li fiuta entrambi da lontano e da entrambi si guarda attentamente.
    Tutto questo sta a indicare che il giusto, quando si accorge che sta per scatenarsi la tentazione, non esce (da se stesso) attraverso i sensi del corpo, ma si raccoglie dentro di sé, e lì si innalza nel volo della contemplazione. Infatti leggiamo nella Sapienza: "Rientrato nella mia casa - cioè nella coscienza - riposerò con la sapienza" (Sap 8,16). La sapienza deriva il suo nome da sapore, quello che viene gustato nella contemplazione.
    E osserva ancora che tre cose soprattutto nuocciono al giusto: il vento della superbia: quando soffia, il giusto, che è custode di se stesso, deve chiudere le aperture degli alveari, cioè dei sensi del corpo, per non esserne danneggiato. Giobbe: "Un vento impetuoso si scatenò da oltre il deserto, investì i quattro lati della casa, che rovinò su se stessa e uccise i suoi figli" (Gb 1,19). Giobbe, che vuol dire "dolente", è il penitente; i suoi figli sono le sue opere; la casa è la coscienza; i quattro lati sono le quattro virtù cardinali; il deserto è la malizia del diavolo; la superbia che irrompe impetuosa da questo deserto scuote la coscienza, la quale viene sradicata dalla sua stabilità, e crolla; crollando distrugge le opere della penitenza, perché prima della rovina il cuore si insuperbisce, e la superbia ha in se stessa la sua rovina (cf. Pro 18,12).
    C'è poi il fumo dell'avarizia, che acceca gli occhi dei sapienti. Quando i demoni vogliono togliere a uno le dolcezze dello spirito, gli soffiano contro il fumo della concupiscenza. È detto infatti nel libro dei Giudici che Abimelech - nome che significa "mio padre, re" -, e tutto il suo popolo tagliarono i rami degli alberi, ne fecero un immenso mucchio, vi appiccarono il fuoco e incendiarono il presidio con tutti gli uomini e le donne che vi erano dentro, e così avvenne che per il fumo e il fuoco restarono uccise circa mille persone (cf. Gdc 9,48-49). L'albero è il mondo, i suoi rami le ricchezze e i piaceri. Il diavolo, che è il padre e "il re di tutti i figli della superbia" (Gb 41,25), con tutta la turba dei demoni, taglia dal mondo le ricchezze e i piaceri, vi mette sotto il fuoco dell'avarizia, e ahimè, uccide migliaia di uomini e di donne col fumo della concupiscenza.
    In fine i piccoli animali, cioè le lusinghe della carne e i pensieri impuri, sono dannosi al giusto; egli, se è forte e costante li uccide e li allontana da sé; ma se è debole ed effeminato, anche le sue opere saranno deboli e rese effeminate dai pensieri impuri e dalle lusinghe della carne.
    Esposte queste cose sulle qualità delle api, ritorniamo al nostro argomento.
12. "Tra le creature alate piccola è l'ape". Le creature alate sono i santi. Di essi dice Matteo: "Guardate gli uccelli del cielo", che si levano cioè verso il cielo della contemplazione, "essi non seminano" la vanità, "né mietono" la tempesta - di tale seme infatti tale è il frutto -, "e perciò non ammassano" la dannazione "nei granai" dell'inferno (Mt 6,26).
    Tra questi volatili c'è la piccola ape, cioè l'umile penitente che si reputa indegno di tanto consesso (la compagnia dei santi) e perciò si fa piccolo; per questo si avvera di lui ciò che segue: "Il suo frutto detiene l'inizio della dolcezza". In proposito il salmo dice: "Sarà come un albero piantato lungo i corsi d'acqua" (Sal 1,3). L'albero è il penitente, che è piantato lungo i corsi d'acqua, cioè nell'abbondanza delle lacrime e delle grazie; la sua radice è l'umiltà; il tronco che dalla radice procede è l'obbedienza; i rami sono le opere di carità che si estendono sia all'amico che al nemico; le foglie sono le parole di vita eterna; i frutti sono la gloria celeste, che ha il principio, il centro e una fine senza fine. L'inizio è la soavità della contemplazione, che il penitente in qualche misura assapora; il centro è il riposo dell'anima dopo la morte del corpo; la fine senza fine è la duplice stola di gloria nella beatitudine eterna.
    Si degni di concederci tutto questo colui che è benedetto nei secoli. Amen.